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Il Borghese
30 Marzo 2024 - 07:00
Da quando sono stati ufficializzati i numeri delle uscite incentivate nelle aziende di Stellantis - siamo ormai oltre 3.500, sempre più vicini a quei 5mila da noi lanciati -, le agenzie di stampa reiterano le dichiarazioni dell’azienda che già erano state diffusi il giorno della firma dell’accordo quadro. Un accordo che fa parte «delle iniziative attuate da Stellantis per affrontare gli effetti del processo di transizione energetica e tecnologica in corso e che sta interessando il settore automotive in tutti i suoi aspetti». Compresi quelli occupazionali.
In pratica il gruppo intende «adeguare i livelli occupazionali ai cambiamenti dei processi aziendali». È stato detto più volte: per fare un’auto elettrica servono meno operai rispetto a un’auto tradizionale. Se poi quell’auto non vende abbastanza, la produzione viene adeguata - limitata - come a Mirafiori sanno bene.
E’ il prezzo dell’elettrico, quella transizione imposta dall’Europa che, come ha ricordato Carlos Tavares, ha obbligato «i produttori ad accelerare» il cambiamento. E poiché bisogna salvare gli utili, si va a tagliare sui costi.
Detto degli investimenti annunciati - di cui forse sapremo di più mercoledì 3 aprile, nel tavolo al Ministero? -, va spiegato che Stellantis non è sola. A fine 2023, Volkswagen, a sua volta in difficoltà con le auto elettriche, ha annunciato un «piano di performance», ossia di tagli per 10 miliardi di euro, per «dare un contributo positivo agli utili» del Gruppo. Utili che, secondo target, saranno di 4 miliardi di euro. E allora, tagli sulle spese vive, riduzione dei tempi di sviluppo dei nuovi modelli, ridiscussione dei contratti con i fornitori, blocco delle assunzioni, pensionamento parziale offerto a tutti i dipendenti nati nel 1967 (e per i dipendenti con disabilità grave nati nel 1968), riduzione del 20% i costi del personale amministrativo. Ecco, quindi, chi paga il prezzo della rivoluzione voluta dall’Europa.
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