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Il caso Te Connectivity
03 Maggio 2024 - 10:50
Che beffa: licenziati, "congedati" con una buonuscita neppure certa per tutti, nonostante l'azienda sia sana, per poi vederla investire dall'altra parte d'Italia, mentre la produzione finisce in Cina. E' quello che accade ai lavoratori della Te Connectivity, multinazionale con una (quasi ex, perché rimane esclusivamente la logistica) sede a Collegno. E i sindacati chiedono una legge ad hoc.
La pietra dello scandalo, questa volta, riguarda l'inaugurazione di un parco fotovoltaico a San Salvo, in provincia di Chieti, "dichiarando il suo impegno a favore del territorio e della comunità locali all'insegna della sostenibilità", ma i sindacati sembrano adombrare una forma di greenwashing. "Ci devono spiegare cosa c'è di green e responsabile nello spostare dall`altra parte del pianeta la produzione di piccoli connettori, licenziando 225 lavoratori. Può esserci sostenibilità ambientale senza quella sociale? Può una multinazionale considerare solo il massimo profitto?" denunciano Fim Cisl e Fiom Cgil di Torino.
La multinazionale infatti "chiude lo stabilimento di Collegno, nel torinese, per produrre in Cina e in Usa alla faccia della sostenibilità e dell'etica". "Il confronto con i sindacati sulle scelte strategiche delle aziende, soprattutto quando si tratta di licenziamenti, chiusure di siti e delocalizzazioni, dovrebbe essere rafforzato dalla normativa e diventare prassi nelle relazioni sindacali. Diversamente, come accade oggi, si continuerà a intervenire solo per occuparsi delle conseguenze di tali scelte" afferma Marco Barbieri della Fim Torino e Canavese.
"La normativa italiana sulla delocalizzazione è inefficace, serve una normativa europea che renda antieconomico lo spostamento delle produzioni e crei le condizioni per l'insediamento e la permanenza di imprese. Serve una politica salariale, industriale ed energetica all'altezza delle sfide. Non è tollerabile che le multinazionali come la Te Connectivity, che hanno estratto tutto quello che potevano da un luogo e dalla sua comunità, possano andarsene non appena si presenta la necessità di fare maggiori profitti" osserva Giorgia Perrone della Fiom Torino.
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