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Industria & Politica
07 Maggio 2024 - 12:40
Stellantis tiene "gli occhi ben aperti sull'esito delle elezioni americane ed europee". Lo aveva detto, già a gennaio, il ceo Carlos Tavares, parlando delle prospettive del mercato e dell'auto elettrica, mentre rimarcava come la transizione all'elettrico aveva comportato una accelerazione del processo cui i produttori erano già orientati, una accelerazione "non voluta da noi". E, per quanto un poco in sordina rispetto ad altri temi, la questione della contestata direttiva Fit35, il futuro stesso dell'automotive sono parte delle strategie per le Europee di giugno. Dopo il voto potrebbe cambiare tutto? Potremmo vedere una clamorosa retromarcia?
La questione parte dal 2022, il momento in cui gli Stati membri dell'Unione Europea hanno concordato la transizione: a partire dal 1° gennaio 2035 - la direttiva Fit35, appunto - , solo le auto e i veicoli commerciali che non emettono CO2 allo scarico potranno essere venduti come nuovi. In pratica, la produzione di veicoli potrebbe essere limitata a quelli elettrici, oppure a idrogeno.
E da mesi la lobby dei costruttori d'auto è al lavoro, con dichiarazioni o politiche industriali, per mettere pressione alla politica europea, in questa ottica. Nonostante inizialmente in molti - lo stesso Tavares, che addirittura sostiene da tempo che Stellantis sia in grado di anticipare questa norma, o Volkswagen o Mercedes che fissava al 2030 la data in cui tutta la sua gamma sarebbe stata elettrifica - puntassero su questa rivoluzione per dare, è il caso di dirlo, una scossa al mercato, le carte sul tavolo sono state clamorosamente ribaltate: dopo un iniziale boom, il mercato dell'elettrico ha rallentato ovunque - in particolare in Italia -, soprattutto in quei Paesi dove gli incentivi all'acquisto sono stati ritirati o ancora devono arrivare, fermandosi a circa il 13%. In pratica, solo in Francia continua l'espansione, mentre per esempio nel Regno Unito la domanda sul mercato - Tavares dixit - vale al momento la metà di quanto la nuova legge emanata di recente preveda come obbligo per i produttori.
Cosa non ha funzionato per spingere i costruttori al cambio di prospettiva? Intanto, il maggior costo di un veicolo elettrico a fronte di un equivalente modello a motore termico: solo di produzione, si calcola il 30% in più rispetto a uno cinese. Ed è questo il secondo punto dolente: i produttori cinesi hanno invaso il mercato, al punto da spingere l'Europa a prevedere una serie di dazi sull'importazione (per questo in molti, da Chery a Dongfeng, stanno avviando stabilimenti in Europa). Una situazione pericolosa per un settore, quello dell'automotive, che vale circa 12 milioni di posti di lavoro nei Paesi membri.
E la politica come si pone? Il gruppo ECR, che comprende Fratelli d'Italia e la spagnola Vox - spiega l'agenzia Gea -, insiste nel suo programma sul fatto che "il motore a combustione è una testimonianza della creatività europea" e dovrebbe rimanere "valido per gli anni a venire". Anche l'altro gruppo di destra, Identità e Democrazia (RN in Francia, AFD in Germania, Lega in Italia), si batte contro quella che definisce una "misura discriminatoria e socialmente escludente". Ma le critiche arrivano anche dal partito di maggioranza uscente, il Partito Popolare Europeo (PPE). I partiti della coalizione tedesca, CDU e CSU, vorrebbero cancellare il 2035 per continuare a beneficiare della "tecnologia tedesca all'avanguardia dei motori a combustione". In Francia, il liberale François-Xavier Bellamy si è espresso contro il divieto. Ma il PPE non ha incluso questa cancellazione nel suo programma. In realtà, è stata la sua leader, Ursula von der Leyen (che proprio nella mattinata di ieri, al vertice trilaterale con il presidente francese Macron e l'omologo cinese Xi Jinping, ha detto che con i cinesi servono "buone relazioni, e considerato il peso globale della Cina il nostro impegno è fondamentale per assicurare il rispetto reciproco, per evitare incomprensioni, per trovare soluzioni alle sfide globali"), a far passare il divieto come parte del Patto verde europeo. "Sarebbe sorprendente se la Commissione che ha attuato il Patto verde facesse marcia indietro, ma ci sono rischi per la sua attuazione", commenta Diane Strauss dell'ONG Transport & Environment.
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