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CASA BIANCA & PIAZZA AFFARI
05 Novembre 2024 - 07:20
Oggi l’America sceglie, o inizia a farlo. Donald Trump o Kamala Harris, con l’elettorato Usa profondamente spaccato e il mondo che assiste. Ma il voto avrà ripercussioni anche, nel suo piccolo, su Torino e il Piemonte, in particolare per l’economia. Perché ben il 20% del fatturato estero della nostra regione è legato agli Stati Uniti e molte sono le imprese americane che operano qui. Senza dimenticare, poi, Stellantis, che ha ancora una grande parte di Chrysler dai tempi della fusione con Fiat (al di là dei natali a New York di John Elkann, che comunque non voterà negli Usa, essendo cittadino italiano e avendo qui a Torino la residenza anagrafica). E nei cui confronti, nei giorni scorsi, Trump ha pronunciato una minaccia ben più grave di quella dell’Europa sui produttori cinesi (o del ministro Adolfo Urso contro gli Elkann).
La Election Night alle OGR
Torino vivrà la sua notte elettorale alle Ogr, dalle 21, in un incontro organizzato da Unione Industriali e Ogr stesse, con i contributi di Youtrend, la società di sondaggi e analisi politiche di Lorenzo Pregliasco, con il patrocinio di Camera di Commercio Americana in Italia e Consolato Generale degli Stati Uniti a Milano.
«Analizzeremo conseguenze e attese del voto negli Stati Uniti. È un evento aperto a tutti i torinesi, perché si tratta di un passaggio storico delicato - spiega Marco Gay, presidente dell’Unione Industriali -. Gli Stati Uniti infatti, in termini globali, sono il primo Paese importatore e il secondo esportatore. In Italia sono presenti con 2.536 imprese e oltre 333mila addetti, che realizzano il 19,1% del fatturato delle imprese a controllo estero, il 20,1% del loro valore aggiunto e ben il 23,7% della loro spesa in Ricerca e Sviluppo».
Qui in Piemonte, contano il 9,8% del totale delle unità locali tra le imprese straniere, impiegano quasi il 20% degli addetti e producono il 20,4% del fatturato estero.
Da Ferrero a Comau
Tra le aziende americane presenti qui a Torino c’è per esempio la Collins, ex Microtecnica, che sta per passare di mano ai francesi. Ma di proprietà americana, di un fondo di investimento per essere precisi, è ormai la Comau, di cui Stellantis ha ceduto il controllo.
Il mercato americano rappresenta poi oltre il 20% dei 17 miliardi di fatturato annuo della Ferrero, la multinazionale della Nutella, che non a caso di recente ha aumentato i suoi stabilimenti. Leonardo, che qui opera nell’aerospazio con Thales Alenia, ha una controllata negli Stati Uniti che ha di recente ricevuto una commessa militare dall’amministrazione Biden.
Fashion, come il tessile biellese, e lusso come il settore orafo alessandrino sono strettamente legate all’export. E basti pensare che gli Stati Uniti sono la destinazione per ben il 18,9% delle esportazioni della componentistica automotive (in particolare per gli stabilimenti Jeep).
Trump minaccia Stellantis
E proprio sull’automotive abbiamo visto quanto il mercato americano (in calo di oltre il 40%) abbia influito sui conti in ribasso di Stellantis. Di cui anche Donald Trump ha parlato, pochi giorni fa, durante un incontro elettorale. «Mettiamo un dazio del 100% su ogni auto importata e poi vediamo cosa fa Stellantis» ha detto The Don, riferendosi allo stabilimento messicano di Jeep: per un accordo internazionale, infatti, da Messico a Usa non si paga l’importazione delle auto lì prodotte (non a caso, oltre il Rio Grande, ha impianti anche Ford, non solo Stellantis).
Se vince Trump
Ma per chi devono tifare le imprese italiane? Secondo una analisi di Filippo Diodovich, senior market strategist dell’istituto di analisi IG Italia, la vittoria di Donald Trump «potrebbe impattare positivamente alcune aziende italiane, in particolare quelle che operano nel settore della difesa. Trump ha, infatti, storicamente sostenuto un incremento della spesa militare anche durante il proprio mandato (2017-2021). Crediamo che possa aumentare le pressioni nei confronti dei paesi europei a pagare tutti i contributi alla Nato e possa, inoltre, aprire alla possibilità di portare le spese militari della Nato dal 2% al 3% del PIL, tenendo conto del forte aumento delle tensioni geopolitiche (guerra Russia-Ucraina, crisi in Medio Oriente e tensioni Cina-Taiwan). Aziende italiane come Leonardo, potrebbero beneficiare di maggiori investimenti nel comparto».
«Sottolineiamo che l’eventuale implementazione di politiche protezionistiche come i dazi potrebbe avere effetti negativi su altri settori italiani, come il lusso e l’agroalimentare che hanno una forte esposizione negli Stati Uniti».
Se vince Harris
Una vittoria di Kamala Harris potrebbe invece influenzare positivamente alcune aziende italiane nei settori delle energie rinnovabili e proprio dell’automotive elettrico. «Nel settore dell’energia rinnovabile, Kamala Harris ha espresso un forte impegno verso le politiche green e la transizione energetica», evidenzia Diodovich. «Aziende italiane come Enel, ERG, A2A potrebbero beneficiare di maggiori investimenti e collaborazioni negli Stati Uniti. Le politiche di Harris potrebbero incentivare l’adozione di veicoli elettrici e ridare slancio globalmente al comparto. Aziende come Ferrari e Stellantis potrebbero trarre vantaggio da un mercato statunitense più favorevole ai veicoli elettrici».
Legami importanti
Dunque, un voto cui assistere non certo solo per curiosità. «Per creare sviluppo e posti di lavoro è necessario avere il coraggio di realizzare una politica industriale per le filiere capace di esaltare le potenzialità di grandi, piccole e medie imprese che insieme caratterizzano la nostra industria - spiega ancora Gay -. Basta pensare al settore aerospaziale, dove Torino sta diventando leader, che negli Stati Uniti ha uno dei suoi centri nevralgici. L’auspicio è che prosegua e si sviluppi ulteriormente la collaborazione transatlantica. Perché la stabilità tra Italia e Stati Uniti nei rapporti commerciali, così come nella ricerca scientifica e industriale, ha sempre portato nuove opportunità e nuovi investimenti anche sul nostro territorio. Guardiamo quindi a Washington nella consapevolezza che queste elezioni determineranno i futuri equilibri globali, dal Medio Oriente all’Ucraina, definendo anche indirizzi cruciali nella nostra relazione con la Cina».
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