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Il caso
05 Dicembre 2024 - 10:28
Cristina Seymandi (Fonte Instagram)
La richiesta di archiviazione si basa su un concetto fondamentale: la natura dei social media ha modificato profondamente il panorama della comunicazione pubblica. In un'epoca in cui la privacy è continuamente messa alla prova da piattaforme che espongono dettagli della vita privata delle persone, la critica online, anche quando sfocia nell’aggressività, è diventata una "norma". Il PM Furlan ha sostenuto che, nel contesto dei social, commenti sarcastici, ironici e persino offensivi sono ormai accettati come parte del flusso comunicativo, tanto da non poter più essere considerati diffamazione.
Un altro punto chiave sollevato dal PM riguarda l’impossibilità di identificare gli autori degli insulti, che si nascondono dietro profili falsi. La polizia postale ha ammesso che, nonostante gli sforzi, risalire agli autori di offese online è quasi un'impresa titanica, soprattutto quando si parla di utenti che operano con identità anonime o fittizie. Questo crea un problema non solo per la giustizia, ma anche per il concetto stesso di responsabilità legale nei confronti di azioni che accadono in un ambiente come quello digitale, dove chiunque può "parlare" senza mostrare il proprio volto.
Un altro aspetto controverso è la ridefinizione della "critica" su internet. Se nel mondo reale l’offesa è spesso considerata inaccettabile, online sembra essere diventata una forma di comunicazione accettata, seppur discutibile. Il PM ha fatto riferimento a programmi televisivi, spesso di successo, che si fondano sull’umiliazione e il dileggio, suggerendo che anche la critica online possa seguire un percorso simile: un "gioco" che, pur violento, è diventato parte della "normalità" dei social.
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