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Ultimo saluto
09 Maggio 2025 - 11:00
L’industria dell’auto torinese rischia di perdere un altro dei suoi simboli più iconici. Italdesign, la leggendaria azienda di car design e ingegneria fondata nel 1968 da Giorgetto Giugiaro e Aldo Mantovani, è stata messa in vendita dalla sua controllante Audi, parte del gruppo Volkswagen. La notizia è stata confermata martedì ai rappresentanti sindacali interni (Rsu). A quanto risulta, sarebbe già in corso una due diligence da parte di potenziali acquirenti — non fondi finanziari né case automobilistiche, ma grandi multinazionali dell’ingegneria — interessati a entrare in possesso di uno degli ultimi baluardi del design automobilistico made in Italy. Sembrerebbe che i possibili candidati potrebbero essere grandi compagnie cinesi, sempre con l'ambizione di piazzarsi nel mercato europeo.
Italdesign non è solo una fabbrica. È un marchio che ha inciso la propria firma sulla storia dell’automobile. La Golf prima serie, l’Alfetta, la Lancia Delta, l’Audi 80, la DeLorean resa celebre da Ritorno al Futuro, la Lotus Esprit. Una galleria di icone nata sotto la Mole, cresciuta con la Torino dell’auto e sopravvissuta, tra mille difficoltà, alla progressiva diaspora industriale degli ultimi decenni. Dopo la chiusura di Bertone, la cessione di Pininfarina a Mahindra e il fallimento del rilancio De Tomaso, Italdesign è rimasta l’ultimo grande nome operativo nella “Design Valley” piemontese. E ora rischia di fare la stessa fine.
La scelta di Audi, che dal 2010 controlla Italdesign attraverso Lamborghini, arriva in un momento particolarmente critico per il gruppo Volkswagen, alle prese con una difficilissima transizione verso l’elettrico. Si sostiene che si voglia sostituire il motore termico in un arco di tempo molto breve. L’auto elettrica ha i suoi vantaggi: offre un’autonomia di 400 chilometri, è silenziosa, ha un’ottima ripresa e non produce emissioni inquinanti. Tuttavia, si evidenziano anche delle criticità, in particolare per quanto riguarda l’impatto occupazionale che questa transizione comporta. Dopo aver investito oltre 15 miliardi di euro, Audi ha già annunciato 7.500 esuberi. Vw, addirittura, oltre 35.000. In questo contesto, la cessione di asset non strategici — come Italdesign — è vista come una manovra per fare cassa. Ma per Torino, e per l’Italia intera, rischia di rappresentare l’ennesimo smottamento industriale in un settore già martoriato.
Fiom e Fim hanno convocato per lunedì prossimo un’assemblea con tutti i lavoratori nella sede di Moncalieri. Obiettivo: informare sulla situazione e preparare il terreno in vista del cruciale incontro del 19 maggio, a cui parteciperanno anche IG Metall e un delegato dell’Unione Industriali di Torino. «Siamo molto preoccupati — afferma Gianni Mannori, Fiom Cgil Torino —. Ancora una volta, nei momenti di crisi, i gruppi tedeschi sacrificano aziende fuori dai propri confini. È l’opposto di quanto fatto da Fiat, che ha spesso tutelato le fabbriche estere prima di quelle italiane. Italdesign è un fiore all’occhiello del nostro territorio. Non può diventare una pedina sacrificabile». Inoltre Samuele Lodi, segretario nazionale Fiom-Cgil, ha aggiunto: “Esprimiamo la più netta contrarietà. Lo storico centro di progettazione rappresenta un’eccellenza italiana del gruppo tedesco che, come tale, va mantenuto unito e ulteriormente valorizzato. La Fiom-Cgil metterà in campo ogni azione per non disperdere questo polo di ingegneria e progettazione, e lo farà anche nel rapporto con i sindacati tedeschi. Non si pensi di scaricare la crisi di Volkswagen sui lavoratori italiani”.
I numeri di Italdesign raccontano tutt’altro che un’azienda in difficoltà. Sotto la guida del CEO Antonio Casu, i ricavi del 2023 hanno toccato i 145 milioni di euro, con un utile di circa 20 milioni. Gli attivi valgono 286 milioni e l’azienda ha premiato i dipendenti a Natale con un bonus da 600 euro. L’obiettivo a medio termine? Arrivare a 300 milioni di fatturato. Il problema, semmai, è che oltre l’85% del business resta agganciato alla galassia Volkswagen. Una nuova proprietà dovrà quindi ottenere garanzie concrete sul mantenimento delle commesse tedesche, per evitare che l’acquisizione si traduca in esuberi o, peggio, in uno “spezzatino industriale”.
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