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Sanità nella bufera

Asl TO4, la beffa dopo lo scandalo: non ci sono i soldi per pagare gli infermieri

Straordinari 2024 senza fondi, indagine della Procura di Ivrea, appalti milionari e Spresal sotto processo

Un topo in corsia, imbustato e morto tra le cartelle sanitarie dell'ospedale di Settimo Torinese

Dopo lo scandalo dei concorsi truccati, degli infermieri che non parlano italiano e dei pazienti sedati di notte e abbandonati tra le loro feci all'Ospedale Civico di Settimo, e primari assenteisti ma sul campo da golf, all'Asl TO4 adesso arriva anche la beffa: non ci sono più i soldi per pagare gli straordinari del personale. Una autentica beffa per i dipendenti della struttura, non legati alla cooperativa finita sotto inchiesta. Ecco cosa succede.



La notizia l’ha data il Nursing Up Piemonte e Valle d’Aosta con una nota secca, quasi un verdetto: “L’Asl To4 ha comunicato l’esaurimento delle risorse per pagare il lavoro straordinario 2024.” Traduzione: centinaia di operatori che hanno tenuto insieme turni, reperibilità e ore extra in un sistema già fragile rischiano di non essere retribuiti. Per il segretario regionale Claudio Delli Carri, la scelta è “inaccettabile e arbitraria”, figlia di un contenzioso sulla vestizione-svestizione e della presunta indisponibilità di fondi contrattuali. E la frase che pesa come un macigno: “Le prestazioni straordinarie sono già state erogate, regolarmente documentate e autorizzate. Sospenderne il pagamento è una violazione degli obblighi contrattuali e giuridici.” Il sindacato ha diffidato l’azienda dal proseguire con decisioni “unilaterali e lesive” e chiede la convocazione immediata dell’assessore regionale alla Sanità, Federico Riboldi



Il paradosso vuole che lo stop agli straordinari arrivi mentre l’Asl To4 è al centro di una delle più vaste inchieste sulla sanità piemontese. Tutto parte nell’ottobre 2023 da una telefonata che sembra uscita da una fiction di potere: la voce di Carla Fasson, allora dirigente del Dipartimento di prevenzione, che ordina al coordinatore dello Spresal di Ivrea, Massimo Gai, di “massacrare” una candidata per dissuaderla dal trasferimento. “Dille che dovrà fare la strada da Torino, che lavorerà sabato e domenica, che sarà sempre reperibile.” Due anni dopo, i pm della Procura di Ivrea, Valentina Bossi e Alessandro Gallo, chiudono l’indagine: trentasette persone e una società rischiano il processo. Dirigenti, primari, infermieri, amministratori. Nella ricostruzione degli inquirenti, un “sistema” che ruota attorno a una sola figura – Fasson – capace di orientare concorsi, carriere, incarichi. Lei respinge l’immagine di gran burattinaia e, come riportato nelle cronache, ribatte: “Non sono Al Capone”. Ma il quadro messo in fila dagli atti è già di per sé dirompente.

La geografia del malaffare attraversa reparti e corridoi: Chivasso, Settimo, i concorsi del Sisp di Ciriè, gli appalti nelle Rsa. “Un sistema in cui i favoriti restavano in debito e si prestavano a ogni richiesta”, annotano i pm. C’è chi veniva premiato con un avanzamento, chi con un contratto, chi addirittura con un furgone o un’assunzione per l’amante. Intanto, i pazienti scivolavano in fondo alla lista. A Settimo Torinese, di notte, alcuni malati sarebbero stati lasciati sporchi, sedati fino all’intontimento, con flebo mai somministrate. E mentre la dignità evaporava, qualcuno – come l’ex primario di Otorinolaringoiatria di Chivasso, Libero Tubino, professionista stimato – timbrava il badge dal campo da golf. 



C’è poi il capitolo appalti. Otto proroghe milionarie alla cooperativa Cm Service, 12,4 milioni di euro in affidamenti diretti: numeri che i fascicoli della Procura collegano a una catena di ruoli e controlli aggirati. Tra gli indagati, oltre a Carla Fasson, compaiono nomi di peso: l’ex direttore generale Stefano Piero Scarpetta, il direttore di distretto Carlo Bono. La sanità delle apparenze, dove – sostengono i pm – persino l’orario di lavoro poteva piegarsi alle esigenze personali: Fasson risulterebbe presente in ufficio quindici volte mentre, secondo i tabulati, si trovava dal parrucchiere o in un centro estetico. O in diverse occasioni a casa di una persona con cui aveva una relazione. Una sanità che, quando la truffa si fa routine, finisce per non riconoscere più il confine tra eccezione e regola.

Nel Tribunale di Ivrea si celebra un altro passaggio chiave: il processo allo Spresal, l’ufficio che deve garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro. L’accusa parla di cento fascicoli sugli infortuni del Canavese mai arrivati in Procura. Tra gli imputati, tecnici e dirigenti che avrebbero falsificato atti, smarrito prove, coperto omissioni. La scena madre riguarda l’infortunio alla OMP di Busano: una broccia cade come un proiettile e trancia la falange a un operaio; l’indagine resta sospesa per quattro anni, il corpo del reato – un guanto con frammenti biologici – scompare. Quando la pm Valentina Bossi interroga il tecnico Salvatore Orifici, l’aula si fa duello: “E io cosa me ne faccio, nel fascicolo di un infortunio, delle foto di una macchina a caso?” La metafora è crudele ma perfetta: la macchina sbagliata nel fascicolo giusto, come se il sistema avesse perso il nesso tra realtà e procedura, tra responsabilità e impunità. Orifici, prossimo alla pensione, parla di foto esemplificative e fascicoli ricostruiti. Ma qui non è in gioco solo la forma: è la fiducia.

Che cosa farà la Regione? Dagli uffici dell’Asl To4 si attende la prossima mossa, mentre dal Grattacielo Piemonte – che dovrebbe esercitare il controllo politico soprattutto dopo aver riacquistato l'anno scorso l'Ospedale Civico con un esborso di oltre 15 milioni più mutuo – arriva soprattutto silenzio. Un silenzio eloquente, più di qualsiasi comunicato. Il sindacato chiede il tavolo urgente con l’assessore Federico Riboldi; l’azienda sanitaria è chiamata a spiegare come intenda onorare obblighi contrattuali che non sono opinioni ma diritti; la Procura di Ivrea, con i pm Valentina Bossi e Alessandro Gallo, ha già tracciato una rotta giudiziaria che promette di occupare a lungo le cronache.


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