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Le nuove rivelazioni

Eredità Agnelli, la verità fra Gianni ed Edoardo. Ecco cosa ha detto il cugino Lupo Rattazzi

Nell’intervista al TG3, donazioni, testamenti e la sofferenza nei confronti dell'ascesa di John Elkann

I non detti di casa Agnelli: Lupo Rattazzi riapre il dossier Edoardo

Nelle dinastie che hanno fatto l’Italia industriale, il potere non parla solo con i comunicati. Comunica attraverso silenzi, gesti taciuti, “non detti” che orientano destini quanto e più dei verbali di un consiglio. Che cosa succede quando la genealogia incontra il malessere individuale? E cosa succede quando questa genealogia fa di cognome Agnelli? L’intervista rilasciata da Lupo Rattazzi al TG3 offre uno sguardo raro su questa faglia: una lettura dall’interno delle tensioni che precedettero la morte prematura di Edoardo Agnelli, figlio dell’Avvocato Gianni, intrecciando affetti e strategia, testamenti e solitudini, decisioni e rinunce.



L’INTERVISTA AL TG3 E LA VOCE DI UN CUGINO
Lupo Rattazzi non è uno spettatore qualsiasi. Imprenditore, presidente di Neos Air (compagnia del gruppo Alpitour), laureato ad Harvard, con un curriculum manageriale internazionale, è figlio di Susanna Agnelli — prima donna ministro degli Esteri d’Italia e sorella dell’Avvocato — e di Ugo Rattazzi. Porta nel cognome l’eredità di una grande famiglia piemontese, quella che diede al Paese anche un presidente del Consiglio, Urbano Rattazzi. È anche, e soprattutto in questo caso, cugino di Edoardo. Una doppia prossimità, familiare e culturale, che rende la sua testimonianza preziosa, e al tempo stesso delicata. Nel colloquio con il TG3, Rattazzi ricostruisce un mosaico di rapporti incrinati e aspettative mancate. Parla di fratture emotive e scelte societarie, di un figlio “fragile” che viveva ogni gesto di esclusione come un marchio. Non indulge al sensazionalismo: sceglie una lingua sobria, talvolta dolente, e qualche frase asciutta che pesa più di molte analisi.



DICEMBRE S.P.A., LA STRATEGIA MANCATA E LA “LETTERA DI MONACO
Il nodo, per Rattazzi, è anche la Dicembre, la storica holding di famiglia. A metà anni Novanta — ricorda — si tentò di trasferire a Edoardo una quota. Nel 1995, però, lui si oppose. “Gli dissi ‘ma tu sei pazzo perché fai una cosa del genere’; mi rispose ‘non mi fido, non mi fido’”, racconta Rattazzi. Il dialogo, dice, “non era buono” tra Edoardo e il padre, né con i consiglieri dell’Avvocato. Nel 1996, in vista di un delicato intervento cardiaco, Gianni Agnelli redasse la cosiddetta “Lettera di Monaco”, un testamento a favore del nipote John Elkann. Due anni più tardi, nonostante il rifiuto iniziale, l’Avvocato — riferisce Rattazzi — era deciso a “lasciargli la sua quota” nella Dicembre, dispiaciuto che Edoardo non fosse diventato socio. E secondo Rattazzi, in quel secondo tempo Edoardo “aveva deciso di non opporsi più”, accettando che l’intenzione del padre andasse avanti. “Credo che lui fosse a conoscenza del fatto che suo padre aveva deciso di lasciargli la sua quota”, aggiunge. Qui, il racconto di Rattazzi illumina la zona grigia in cui spesso si muovono le successioni dinastiche: la distanza fra un’intenzione espressa e un’adesione piena, fra la forma di un lascito e la sostanza di un ruolo.



NOVEMBRE 2000: VILLA BONA, L’ISOLAMENTO E LE PAROLE VIA MAIL
Si arriva così a novembre 2000. Edoardo vive isolato nella sua residenza, Villa Bona, poco sopra Villa Frescòt, la dimora dei genitori sulla collina torinese. È una stagione di fragilità, fisica e psicologica. Rattazzi evoca una corrispondenza elettronica: a un suo “come stai?” Edoardo risponde “Beh la faccio andare”. E in un’altra mail confida: “la mia vera aspirazione è quella di chiudermi in un monastero”. Parole che restituiscono una vocazione al ritiro, forse la difesa ultima contro la pressione di un mondo percepito come ostile. C’è anche la preoccupazione per la situazione finanziaria, che secondo Rattazzi “non aveva senso” per il figlio dell’imprenditore più importante del Paese. È il paradosso di certi patrimoni: l’abbondanza vista da fuori, l’insicurezza vissuta dentro. La montagna del cognome e il burrone del sé. “Non stava bene né psicologicamente né fisicamente”, osserva Rattazzi. E in quel malessere intravede la miccia di un gesto estremo. Il 15 novembre il corpo di Edoardo viene trovato sotto il viadotto dell'autostrada



EREDITÀ, CARTE E POTERE: MARGHERITA, DONNA MARELLA E I DOCUMENTI
Il capitolo successorio resta, inevitabilmente, centrale. Rattazzi attribuisce un ruolo non marginale all’uso di carte sequestrate dalla Guardia di Finanza, poi impiegate dagli avvocati della sorella di Edoardo, Margherita Agnelli, nella battaglia ereditaria. Il terreno è quello, scivoloso, in cui i diritti si intrecciano con i doveri e le volontà con le interpretazioni. Secondo Rattazzi, in esecuzione delle volontà dell’Avvocato, una volta scomparso Gianni Agnelli, Donna Marella avrebbe comunque donato il suo 25 per cento della Dicembre a John Elkann, consegnandogli così la maggioranza della società. È un tassello che ribadisce il disegno di continuità e controllo, oltre il conflitto e le incertezze. Non mancano, attorno a questa vicenda, eco mediatiche che hanno alimentato polemiche: titoli come “Colpo di scena. C’è un testamento segreto di Gianni Agnelli", “La guerra per l'eredità e la misteriosa fine di Edoardo. Le rivelazioni shock”, o il mistero dei quadri dell’Avvocato, con la collezione scomparsa, andando poi fino alla storica Villa Frescot in vendita: tutto questo pare aver scandito una narrazione spesso binaria. L’intervista di Rattazzi si colloca su un registro diverso: più intimo, meno giudiziario, più attento alle conseguenze umane delle scelte di potere.



L’ESCLUSIONE PERCEPITA E LA SCELTA SU FIAT
C’è poi il tema del comando. Gianni Agnelli indicò - dicono, ma adesso questa guerra di carte lascia molti dubbi - nel nipote John Elkann la guida del gruppo Fiat. Un passaggio che, agli occhi di Edoardo, avrebbe rappresentato esclusione e inibizione. “Ogni situazione in cui suo padre prendeva decisioni che lo escludevano dalle imprese — racconta Rattazzi — lui la viveva male. Questo gap, unito al malessere fisico, è ciò che lo ha portato alla disperazione e a quel gesto.” È l’immagine di un destino incrociato: da una parte la necessità di assicurare una governance salda, dall’altra la ferita di chi si sente estromesso dal luogo dove più avrebbe voluto contare.

LE LEZIONI DI UNA STORIA FAMILIARE
Cosa ci racconta, oltre i nomi, questa vicenda? Che nelle grandi famiglie la trasparenza è un investimento, non un costo. Che le successioni non si esauriscono nei notai e nelle holding, ma si compiono nel riconoscimento reciproco. Che l’equilibrio tra continuità e inclusione è la frontiera più sottile del potere. La strategia del 1995, il testamento del 1996 noto come “Lettera di Monaco”, le attese e i ripensamenti, le donazioni annunciate e quelle presunte: tutto compone una partitura in cui le pause valgono quanto le note. Rattazzi, con la sua franchezza, non chiude un caso. Piuttosto, riapre uno spazio di comprensione. Inquadra Edoardo come “un ragazzo problematico, fragile”, che pure dentro l’élite industriale italiana avvertiva il gelo dell’esclusione. Rivendica il peso dei “non detti” e mette a fuoco il ruolo dei consiglieri, come Gabetti e Grande Stevens, dei documenti, delle scelte compiute “più con riserbo che con trasparenza”. È un racconto che non assolve e non accusa, ma suggerisce: dietro ogni assetto proprietario c’è un paesaggio umano da custodire. E quando la comunicazione si inceppa, anche la più robusta architettura societaria può rivelare crepe. E si pone, implicitamente, una domanda che vale oltre la famiglia Agnelli: quanta verità serve, dentro le dinastie del capitalismo italiano, per proteggere chi le abita dal peso della leggenda?

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