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Agnelli & Segreti

Eredità Agnelli, John Elkann in tribunale? Ecco cosa (non) accadrà

Dal Senatore che comprava i testimoni all'Avvocato, così se la sono cavata gli antenati

Da Giovanni a John, tutti quegli Agnelli in Tribunale (o quasi)

John Ellkann testimonierà, in aula, nella causa civile intentata in tribunale a Torino da sua madre Margherita Agnelli? Ce lo si chiede, negli ambienti di giustizia, ricordando che l'anno scorso la giudice Nicoletta Aloj dispose la testimonianza di una ventina di testimoni, tra cui Elkann stesso. Era giugno e la causa, inizialmente rinviata a dicembre, è ancora in corso in parallelo a quella penale. Ma portare un Agnelli in tribunale, si sa, non è semplice.

Lo si è visto con l'inchiesta penale sull'Eredità Agnelli, da cui il nipote dell'Avvocato cerca di uscire con la soluzione della messa alla prova. In compenso, ha deposto davanti a una corte - sempre contro la madre -, però in Svizzera. E a Torino? La situazione della causa civile è, onestamente, indecifrabile per come si interseca con quella penale. Soprattutto ora che alcuni documenti al tempo sequestrati dalla Guardia di Finanza sono stati resi disponibili alle parti e Margherita Agnelli intende servirsene. Come dimostrato dall'emersione del testamento "segreto" del padre Gianni.

Ad aprile, però, la giudice aveva ritenuto di poter sostituire alcune testimonianze con la presentazione di atti e memorie, tra cui il documento del famoso atto transattivo con cui Margherita rinunciava all'eredità del padre in cambio di un 1 miliardo e 300 milioni, depositato dai legali degli Elkann. Molte memorie sue, invece, erano state giudicate inammissibili. Dopo di che, l'istruttoria è proseguita, fino al deposito dei nuovi atti a ottobre, compreso il frammento di testamento. Possibile che si decida comunque di ascoltare dei testi? In primis il notaio Morone, nel cui studio sono state trovate le bozze della società Dicembre. Mentre a Elkann sarebbe stato chiesto di ricostruire alcuni passaggi finanziari riguardo conti e trust all'estero, riconducibili dapprima alla nonna Marella e in seguito a lui e i suoi fratelli Lapo e Ginevra.

Rapporto complicato quello della Famiglia con la Giustizia (o almeno con la legge) a partire dal capostipite. La prima volta di un Agnelli davanti alla giustizia è proprio del fondatore della Dinastia: il Senatore (non ancora tale, ma già Cavaliere del Lavoro) Giovanni, cofondatore della Fiat, che si ritrovò in tribunale nel 1909 con le accuse di «illecita coalizione, agiotaggio in Borsa e falsi in bilancio», con varie manovre di speculazione borsistica, compresa una liquidazione della Fiat per ricostituirla con altra composizione societaria (ossia: sua e basta).

Quando la polizia bussò alla sua porta, lui svicolò dalle cantine, di nascosto. Lo scandalo sui giornali (La Stampa non era ancora sua) fu enorme. La portata delle accuse era pesante e c'erano in ballo miliardi (sì, anche dell'epoca). Ma dall'alto, ossia direttamente dal capo del governo Giovanni Giolitti, piovevano raccomandazioni e pressioni perché non si processasse il padrone della principale industria del Paese. Nacque all'epoca l'idea che porto a quel "Ciò che è bene per la Fiat è bene per l'Italia"?

La parte migliore della storia riguarda il processo d’appello nel 1912, dopo l’assoluzione in primo grado: a difendere Agnelli ci fu direttamente il ministro della Giustizia Orlando che si era dimesso temporaneamente. Immaginatevi la pressione sui giudici...

E poi ci fu il capolavoro di una perizia realizzata dal professor Piero Astuti, un professionista stimatissimo in città, che dimostrava la manipolazione delle scritture contabili. In pratica, era la prova regina. Ma il professore era talmente bravo che Agnelli lo assunse come proprio consulente. Immaginate la nuova perizia? 

In compenso, al Senatore i tribunali facevano comodo nei momenti critici: come quando vi si rivolse nel tentativo di portare via i figli a sua nuova Virginia Bourbon del Monte, criticata per una sua vita da vedova eccessivamente libera (e per la relazione con lo scrittore Curzio Malaparte, che silurò da direttore della Stampa). Per inciso, dapprima vinse ma poi la situazione si rovesciò per la "rivolta" dei nipoti Gianni e Susanna e perché a Mussolini piaceva più dare ragione a una madre che a quell'industriale con cui mai si era annusato davvero.

A fine della seconda guerra mondiale, poi, Agnelli senior avrebbe dovuto essere processato per via dei suoi rapporti con il fascismo, ma morì prima e, in ogni caso, c'erano fior di dossier e di "ricami" che miravano a presentarlo in tutt'altra veste (bisognava evitare l'esproprio della Fiat, detto chiaramente). A "difenderlo" con perorazioni e sfruttamento di rapporti politici, oltre che di un ruolo di "ufficiale di collegamento" con gli Alleati, era suo nipote Gianni Agnelli, non ancora l'Avvocato, nonostante la laurea in giurisprudenza nel 1943.

E se andiamo all’epoca moderna, troviamo proprio lui, Gianni Agnelli. Parliamo del periodo di Tangentopoli, quando venne fuori che non c'era industria o impresa italiana che non pagasse la sua "quota" nel finanziamento illecito dei partiti. Possibile che la Fiat non pagasse tangenti o altro ai partiti? Certo che le pagava, lo ammise l’amministratore delegato Cesare Romiti in persona. E finì sotto processo. Lui, però, non gli Agnelli. «Agnelli poteva non sapere» fu detto all’epoca.

L'Avvocato poi, si sa, non era neppure tale: quel soprannome venne coniato come si può conferire un titolo nobiliare... In compenso, una volta divenuto senatore a vita, Gianni Agnelli fu membro permanente proprio della Commissione Giustizia.

Sorvoliamo sulle disavventure giudiziarie - con patteggiamento - per Andrea Agnelli alla guida della Juve (e per cui un pm voleva addirittura l’arresto) e rimaniamo sulla linea ereditaria della (ex) Fiat: ora tocca a John Elkann, per una vicenda personale, quella dell’Eredità Agnelli, ma legata strettamente a trust e holding e manovre finanziarie. A fine novembre sapremo se il giudice gli concederà la messa alla prova presso i Salesiani, per giungere all’estinzione del reato, senza processo.

La messa alla prova è una forma di giustizia riparativa, nata per i minorenni a scopo riabilitativo: sarebbe davvero un unicum che venisse data a un finanziere di portata internazionale, miliardario, accuse di truffa ai danni dello Stato ed evasione. Ma, in fondo, abbiamo visto di peggio.

Solo una domanda: quanto sarebbe terribile un dibattimento, con altri particolari e dettagli magari che verrebbero svelati, da preferire questa specie di gogna pubblica a una possibile assoluzione, a testa alta, davanti a quella scritta «la legge è uguale per tutti»? Diciamo che gli Agnelli hanno storicamente preferito non saperlo, usando però proprio gli strumenti che la Legge (che in questo sì è uguale anche per i miliardari) mette a disposizione.

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