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L'intervista
30 Dicembre 2025 - 13:53
Maria Pia Schieroni
La dottoressa Maria Pia Schieroni è Specialista in Medicina Fisica e Riabilitativa Primario Emerito dell’AOU Città della Salute e della Scienza di Torino già Direttore della SC Recupero e Rieducazione Funzionale - Presidio Molinette
Dorroressa Schieroni, come nasce la sua esperienza sanitaria nella cura della popolazione anziana ?
Ho esercitato la mia professione per oltre 40 anni come medico specialista in Medicina Fisica e Riabilitativa presso il Reparto di Recupero e Rieducazione Funzionale dell’Ospedale Molinette, del quale assunsi la direzione a 37 anni e questo percorso ha consentito a me ed ai miei collaboratori di maturare un’esperienza a 360° in tutti i tipi i campi della medicina e su pazienti di ogni ogni età, ad eccezione dell’età infantile che viene trattata presso l’Ospedale Regina Margherita. Personalmente la considero un’esperienza straordinaria, perché un ospedale come le Molinette, ora Città della Salute e della Scienza di Torino, consente ad un Fisiatra un continuo aggiornamento e confronto con tutte le specialità mediche e chirurgiche che operano in questo grande ospedale.
Come è cambiato lo scenario in questi lunghi anni di attività professionale ?
La medicina è cambiata perché è una scienza in continua evoluzione e i costanti progressi scientifici che da sempre la caratterizzano consentono di affinare vieppiù le strategie diagnostiche e terapeutiche in tutti i campi medico-specialistici. Anche i pazienti sono per certi versi cambiati, sia per quanto attiene le patologie di cui sono affetti, sia per quanto attiene la loro età. Lei pensi che, nei miei primi anni di lavoro, erano da considerarsi anziani gli ultrasessantacinquenni e si era persino ventilato di abbassare ulteriormente il limite dell’età geriatrica. Oggi invece i 65enni di norma non sono solo ancora in salute ed attivi, ma anche in età lavorativa.
Cosa è cambiato nello scenario demografico ?
L’Italia, insieme al Giappone, ha la più alta percentuale di anziani ed in particolare in Piemonte viene registrato il record della media nazionale e ce lo dimostrano i dati epidemiologici. Se facciamo riferimento ai dati ISTAT 2024 e CENSIS 2025, l’aspettativa di vita degli uomini è salita ad 81,4 anni e delle donne 84,5, con un incremento di 5 mesi ogni anno. Quindi le donne, seppur affette da un maggior numero di polipatologie, sono più longeve. L’aspettativa di vita in buona salute è intorno ai 59 anni. Di fronte a questo invecchiamento rapido e costante della popolazione, le fasce di età geriatrica sono anch’esse mutate; ora non parliamo più solo di terza età, cioè di over 65 aa ( che sono il 24,7% della popolazione), bensì anche di quarta e quinta età, ovvero di ottanta-novantenni e di ultracentenari, che sono rispettivamente l’8%e il 3% della popolazione. L’indice di dipendenza degli anziani risulta in costante incremento e nel 2022 è stato pari al 42,6 %. Tutto questo a fronte di un costante decremento di persone in età pediatrica ( 0-14 aa.), che rappresentano solo più l’11% della popolazione, semplicemente perché facciamo sempre meno figli.
Quali considerazioni si possono trarre da questa nuova realtà ?
Questo nuovo scenario è in primis indice di benessere, ma anche dell’efficienza del nostro Sistema Sanitario Nazionale. La terza considerazione è che il costante incremento della popolazione anziana ci impone di doverne garantire la specifica tutela. Ovvero la tipologia di patologie che insorgono e di disabilità che ne conseguono, richiedono risposte socio-sanitarie diverse, oserei definire nuove. Infatti è ormai noto il fatto che stiamo praticando un modello di medicina nato per i pazienti acuti in un mondo ormai popolato da una prevalenza di pazienti cronici. Dobbiamo andare avanti nel processo di cambiamento che abbiamo intrapreso, che si è tradotto in una riduzione del numero dei posti letto per pazienti acuti negli ospedali con trasformazione in posti letto di postacuzie e di cronicità, ma dobbiamo ancora implementare la medicina territoriale, ovvero creare strutture sul territorio che siano in grado di offrire ai pazienti risposte adeguate ed in particolare ai cronici e agli anziani. Consideriamo che attualmente in Italia abbiamo 20 milioni di malati cronici.
Ma perchè i pazienti anziani sono diversi dagli altri pazienti ?
Nel paziente anziano assistiamo ad una progressiva riduzione delle riserve funzionali dei diversi organi e apparati, con aumento del rischio di ammalarsi. Le malattie più frequenti sono rappresentate da patologie ad andamento cronico-evolutivo rappresentate principalmente da quelle cardio-respiratorie, ortopedico-reumatologiche, neurologiche, metaboliche, ematologiche, renali, oncologiche, ecc., cui conseguono i deficit motori, le alterazioni della postura, le turbe dell’equilibrio con le conseguenti frequenti cadute e fratture, associate ai deficit visivi, uditivi e attualmente anche cognitivi, quali le demenze e l’ Alzheimer, che colpiscono il 5 % della popolazione in terza età ed oltre il 20% in quarta e quinta età. Nell’anziano queste condizioni patologiche sono spesso associate fra loro e determinano quello stato di instabilità clinica e di fragilità che caratterizza l’anziano e che si accompagna ad una progressiva perdita dell'autonomia e dell’autosufficienza, con conseguente invalidità e profonda compromissione della qualità della vita delle persone. Una nuova “emergenza sanitaria” negli anziani è dovuta per esempio alle infezioni, in specie quelle polmonari e delle vie urinarie, nelle quali la terapia antibiotica si dimostra spesso inefficace a causa dei sempre più frequenti casi di antibiotico resistenza, perché i batteri mutano diventando sempre più aggressivi e resistenti; disponiamo sì di farmaci potenti, ma che, col tempo, diventano sempre meno efficaci. Questo sta causando un vero e proprio allarme nei reparti di medicina e geriatria, nelle lungodegenze e nelle RSA, con rischi per i pazienti e costi sanitari elevatissimi. L’invecchiamento è causa anche di un aumento delle patologie oncologiche perché l’incidenza dei tumori aumenta progressivamente l’età ed oltre i 70 anni risulta 4 volte superiore rispetto all’adulto. Ma i progressi diagnostici e terapeutici consentono in certi casi non solo la guarigione, ma anche una lunga sopravvivenza con frequenti casi di cronicizzazione della malattia. Nell’anziano si ha un maggiore ritardo diagnostico e le terapie oncologiche che possono essere utilizzate sono meno aggressive, ma talora abbiamo un’ evoluzione più lenta della malattia.
Ma possiamo fare qualcosa per favorire un buon invecchiamento della popolazione ?
Sì, certamente possiamo implementare le strategie di prevenzione primaria delle patologie che sono rivolte a correggere i molteplici fattori di rischio attraverso quelli che chiamiamo i corretti stili di vita che si fondano su una dieta equilibrata senza alcool né tabacco, le protezioni solari, le vaccinazioni e l’attività fisica. Si parla ora molto di promozione dell’ “invecchiamento attivo”, cioè dell’ importanza di mantenere la motilità, l’autonomia e la socialità perché non va dimenticato che “per l’anziano un alto grado di indipendenza ha il valore della vita stessa”. La prevenzione secondaria si basa invece sulle diagnosi precoci delle malattie, attraverso gli screening sulle diverse patologie e gli esami diagnostici. In ultimo la prevenzione terziaria, cioè la prevenzione dell’aggravamento delle patologie già diagnosticate attraverso le visite di controllo ed i trattamenti adeguati cui ci sottoponiamo.
Sappiamo però che nell’invecchiamento delle persone vi sono anche dei lati positivi.
Certamente da sempre l’anziano è ricco di esperienza e di saggezza e, se in buone condizioni di salute, è pronto ad offrire un aiuto concreto ai figli e ai nipoti. Ma il loro supporto attualmente non è solo di questo tipo. Consideriamo che gli ultimi dati CENSIS ci dicono che attualmente il 43,2% offre un supporto economico ai figli e ai nipoti ed il 61,8% ha contribuito a spese importanti dei figli. Tutto questo induce a riflessioni di più ampio spettro.
Gli anziani abbisognano solo di cure mediche adeguate ?
No, perchè il quadro clinico viene sempre complicato dalle problematiche di tipo sociale ed economico; per questo risulta indispensabile la valutazione, oltre che delle condizioni cliniche del paziente, anche di quelle familiari, socio-economiche ed ambientali ed in moltissimi casi il supporto sociale diventa indispensabile per intervenire sullo stato di vulnerabilità dell’individuo con interventi mirati ai reali bisogni e con costanti monitoraggi nel tempo. Mi riferisco in particolare ai supporti sociali prescrivibili dall’ASL ed agli ausili, ma in particolare anche ai sussidi economici e agli interventi al domicilio; ma le risposte socio-sanitarie devono poter essere adeguate e tempestive perché, come usiamo dire, mai come nell’anziano il tempo è tiranno. Una raccolta dati recenti del Censis (2025) ci dice che «il 78% della popolazione teme, in caso di non autosufficienza, di non poter contare su servizi adeguati ».
Come si raffronta oggi la nostra società con gli anziani ?
Gli anziani vivono spesso soli, perchè vedovi, senza figli o con i figli che lavorano e che sono lontani. Non esiste più il vecchio modello di famiglia patriarcale che convive con l’anziano e se ne prende cura. Ma gli anziani, se non adeguatamente assistiti, rischiano di non seguire le cure farmacologiche prescritte e una dieta adeguata e vivono in uno stato di emarginazione che li priva delle relazioni umane, con conseguente deflessione del tono dell’umore, veri e propri stati di depressione, rapida caduta della motivazione e dell’autostima e conseguente progressiva regressione psico-fisica. Attualmente si parla di « ageismo » cioè di svalorizzazione e discriminazione dell’anziano, a parte i casi eclatanti di veri e propri maltrattamenti. L’anziano è di per sé un individuo fragile e debole, come lo sono peraltro tutti i pazienti di ogni età affetti da invalidità. In ogni caso il coinvolgimento familiare è fondamentale, perché, ogni qual volta la famiglia è presente e collaborante, lo stato di salute e le prestazioni funzionali del paziente sono migliori; consideriamo però che il supporto sociale risulta comunque sempre indispensabile, perché oggi le famiglie si trovano a farsi carico di pazienti con complessità cliniche e disabilità che non sono in grado di affrontare da soli e quegli stessi pazienti, fino a pochi anni fa, rimanevano molto a lungo ricoverati in ospedale.
Lei ha affermato che, alla luce dei dati epidemiologici, il modello di assistenza sanitaria attuale è in parte superato; pertanto quali azioni concrete possono essere intraprese ?
La popolazione anziana e i pazienti cronici necessitano di un’assistenza sanitaria adeguata, ma in linea di massima meno intensiva, ed in particolare di reparti di medicina e di geriatria, di ortopedie ad indirizzo geriatrico, di ricoveri brevi e di dimissioni protette in strutture di lungodegenza e di riabilitazione collegate in rete, di ricoveri di sollievo per i disabili cronici assistiti al domicilio, di hospice per i pazienti terminali e di un’adeguata assistenza domiciliare. In parte si è già provveduto, ma vanno fatti maggiori investimenti nella prevenzione delle patologie croniche, nel sensibilizzare la popolazione all’importanza dei corretti stili di vita, e va implementata la rete delle strutture territoriali. Ci si riferisce attualmente agli ospedali di comunità con assistenza medico-infermieristica multidisciplinare H24, alle case di comunità, cioè a strutture socio-sanitarie in ogni distretto con integrazione dei servizi sanitari e sociali, oltre che all’assistenza domiciliare, alle RSA per pazienti auto e non autosufficienti, alle strutture di ricovero per i malati di Alzehimer e ai centri diurni, favorendo anche le nuove esperienze di cohousing, che sono nate in Danimarca e che sono condomìni con alloggi singoli dotati di assistenza sanitaria, spazi e servizi comuni. Ma va sottolineato che non bastano gli investimenti edilizi; attualmente risulta prioritario colmare le gravi carenze di personale sanitario, cioè di medici ed infermieri, operatori e personale tecnico sanitario. Al di là della presenza di attrezzature obsolete, lamentiamo troppe carenze negli organici e tali carenze vengono interpretate come una presunta malasanità che si traduce in episodi di vere e proprie minacce e violenze nei confronti di personale sanitario oberato che non dispone più di tempo sufficiente da dedicare al rapporto umano col paziente e coi parenti.
Lei ha posto molto l’accento sullo stato di solitudine, di debolezza e di fragilià degli anziani nella nostra società . Abbiamo modo di poterli tutelare al meglio ?
Il costante incremento della popolazione anziana ci impone, come abbiamo detto, di doverne garantire la specifica tutela. Questo obiettivo si persegue anche attraverso l’istituzione di adeguate figure di garanzia della popolazione. Al riguardo in Piemonte ad oggi disponiamo, oltre che del difensore civico, di un garante dell’età evolutiva, un garante dei detenuti ed uno degli animali, ma ad oggi non è stato ancora istituito il garante degli anziani. Riteniamo che, a partire dai dati epidemiologici, una tale figura dovrebbe essere istituita.
Quindi si presuppone anche una diversa modalità di approccio ai pazienti ?
Io sono un fisiatra e noi specialisti della riabilitazione amiamo parlare di “cultura del care”, cioè del prendersi cura in modo globale non del “paziente”, bensì della “persona” affetta da una patologia dedicando però del tempo anche ai bisogni della famiglia, dei care giver, cioè di chi assiste il malato. Questo presuppone un approccio diverso che non è tanto sinonimo di costi più elevati, bensì di tempo da dedicare alla cura, ma che, alla base di tutto, presuppone soprattutto il coraggio e la volontà di cambiare .
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