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IL REPORTAGE- IMMAGINI ESCLUSIVE
16 Luglio 2024 - 07:10
Sono le 5 di lunedì mattina, il sole non è ancora sorto e Abdul è già al cimitero di Alba. Con lui c’è Issa e insieme salgono sulla Fiat Multipla che li porterà nelle vigne a La Morra. Cambio scena: a neanche un chilometro di distanza, ci sono Ahmed e i suoi “colleghi” in attesa davanti alla stazione. Lui, con addosso la maglia dell’Italia, parla della finale dell’Europeo della sera prima. Poi, da un furgone, qualcuno gli urla «anduma» e lui corre dentro diretto a Gallo, quartiere di Alba. E così fanno gli altri, che salgono tutti su auto diverse per raggiungere le vigne dove si producono i vini che tutto il mondo invidia alle Langhe.
Parte del merito è di questi ragazzi africani che si svegliano a notte fonda e lavorano tutto il giorno per pochi euro l’ora. Spesso prendendosi pure botte e frustate, come dimostrano le recenti inchieste di polizia e carabinieri di Cuneo. Non solo, pagano affitti salati e in nero a gente della “Alba bene”, come il dentista che ammassava decine di braccianti e di pusher nel residence della stazione (finito sotto sequestro dopo il blitz di qualche giorno fa). Oppure vengono lasciati, feriti, davanti alla Caritas. Ma il fenomeno del caporalato rimane e proprio oggi è prevista una grande manifestazione sindacale ad Alba per dire finalmente basta (alle 14).
In auto alle 5
TorinoCronaca ha deciso di andare a documentare direttamente come funziona il lavoro in vigna. Per farlo ha chiesto aiuto proprio ai sindacati che, come tante altre realtà locali, denunciano da tempo il problema. D’altronde lo conoscono benissimo: sono loro a indicare al cronista i luoghi di “prelievo” dei braccianti. Basta andare alle 5 alla stazione o al cimitero di Alba, a due passi dalla multinazionale più famosa della zona, quella che ha permesso al suo patron di diventare l’uomo più ricco d’Italia. Appoggiati al cartello “Ferrero”, spuntano questi uomini in attesa di essere recuperati per andare a lavorare: è facile notarli perché sono praticamente gli unici in giro a quell’ora del mattino. Si salutano con affetto, scherzano, chiacchierano in italiano perché è l’unica lingua che hanno in comune.
Alla spicciolata salgono tutti su furgoni, vecchie auto, microcar dal motore assordante. E poi c’è la Multipla su cui montano Issa, Abdul e altri tre ragazzi: decidiamo di seguirla e, come documentiamo nel video qui sopra, le andiamo dietro fra le curve che portano sulle bellissime colline delle Langhe. Così, mentre il sole fa capolino e illumina la strada, raggiungiamo La Morra, uno dei paesini più belli e conosciuti della zona (anche per la coloratissima cappella del Barolo).
Dalla Libia ad Alba
A La Morra la Fiat Multipla si ferma accanto a una vigna, i braccianti scendono e si mettono subito all’opera. Non sono neanche le 6 del mattino e loro stanno già sfogliando la vite e provando a difenderla dai «bastardi», cioè malattie e insetti che possono danneggiarla. È Abdul a chiamarli così mentre inizia la prima delle sue 8 ore di lavoro: «Finiamo alle 14, poi fa troppo caldo - spiega il 23enne senegalese, sbarcato nel 2017 in Italia - Sono arrivato qui insieme a tanti altri con la nave, passando dalla Libia». Ora vive ad Alba e lavora a La Morra: «Ho un contratto per tutto l’anno, mi danno 7 euro l’ora» garantisce Abdul. Impossibile verificare se sia davvero così, anche perché il giovane bracciante parla poco e male l’italiano. Si accende una sigaretta e poi spiega col sorriso di pagare 400 euro di affitto al mese: «Ma sono contento, qui mi trovo bene».
Gli altri braccianti sono più seri, qualcuno preferisce non parlare né essere ripreso. Issa, 40enne della Sierra Leone, dice la sua senza smettere di strappare le foglie in eccesso dalle viti: «È dal 2018 che vengo qui, non ho mai avuto problemi» assicura mentre si asciuga il sudore con la manica della sua polo rosa acceso. Lui dice di non sapere nulla di botte e caporali: «Il nostro capo è bravo, ci viene a prendere, ci porta qui e ci riporta indietro». È italiano? «No, viene dalla Macedonia». In vigna non si ferma, però: «Ci dà una mano ma arriva dopo perché deve andare ancora a prendere altre persone».
«Solo pochi casi»
Per Sergio Germano, presidente del Consorzio di tutela del Barolo e del Barbaresco, «ci sono pochi casi di migranti sfruttati nelle nostre vigne». Una frase cui sembra rispondere a tono la lettera del vescovo di Alba, Marco Brunetti: «Non possiamo nasconderci dietro il dito, dicendo che si tratta di pochi casi». Perché «anche una sola persona sfruttata, picchiata ed emarginata rappresenta un fatto grave e inaccettabile».
Si allinea il sindaco albese, Alberto Gatto, che invita a «non sottovalutare la situazione e a non abbassare la guardia: dobbiamo essere uniti per sconfiggere il caporalato e consentire alle nostre aziende di assumere manovalanza formata».
Il Sindaco di Alba Alberto Gatto
Cioè quello che cerca di fare Accademia della Vigna, punto di partenza di un progetto che in futuro potrebbero trasformarsi in una cooperativa (come da protocollo d’intesa fra Prefettura di Cuneo e una 90ina di Comuni). In due anni, intanto, ha incontrato 164 aspiranti braccianti: «Quasi tutti ci hanno parlato di sfruttamento e irregolarità nelle nostre campagne o nel resto d’Italia - entra nel merito la coordinatrice Maria Cristina Galeasso, che proprio ieri ha presentato i risultati del progetto - Siamo nati come risposta a questo fenomeno, con il sostegno del Consorzio e di altri enti locali (con 120mila euro l’anno, ndr): nel biennio 27 lavoratori sono stati formati da noi, assunti nelle aziende e aiutati a integrarsi, visto che sono quasi tutti migranti».
Il Consorzio sostiene l’Accademia ma il suo presidente ribadisce che lo sfruttamento è «un fenomeno sporadico che diventa preponderante con il tam-tam mediatico. Non ce lo meritiamo, anche perché lo combattiamo e condanniamo. Infatti ci costituiremo parte civile nei futuri processi per tutelare la nostra immagine». Germano sottolinea come la maggior parte delle aziende e delle cooperative siano virtuose. Ma perché non ci si accorge delle altre? La “vergogna del caporalato”, come la chiamano in tanti, c’è. E sul banco degli imputati ci sono anche le aziende produttrici, accusate di pensare molto a fare business e poco ad aiutare chi lavora per loro: «Come “committenti”, è impossibile sapere quanto vengano pagati i braccianti perché i prezzi, per i viticoltori, sono tutti alti uguali. Esiste una “white list” di cooperative e aziende corrette. Noi siamo vittime delle altre ma non tocca a noi scovarle».
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