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LA STORIA
18 Agosto 2024 - 08:50
Andrea entra nel bar affollato e si viene a sedere al tavolo. Prima ancora che la cameriera gli chieda cosa vuole, ordina un gin tonic.
«Finalmente posso bere bene. Dentro di alcool ne trovavo, ma di qualità proprio poco». “Dentro”, ovvero nel carcere delle Vallette: il 37enne è uscito da qualche settimana. «In carcere stavo bene. Perché? Perché se sai comportarti è un posto anche divertente. E poi, per me, è business».
In tre sorsi Andrea ha già finito il suo gin tonic. Ne chiede un altro.
«La prima volta in cui sono finito al “gabbio” ero minorenne, mi beccarono a vendere del fumo. Non una volta ovviamente: ma la terza volta in cui venni fermato, non c’è stato nulla da fare. Fortunatamente i miei, grazie ai soldi, mi tirarono fuori dopo pochi mesi ma tutto questo aveva sfasciato la famiglia. Mamma divorziò e mi portò a vivere in una frazione di Rivalta. Un paese di una decina di vie e una piazza. Un mortorio. Ecco, io da ragazzino spacciavo per farmi “rispettare”. E per noia. Arrivai in terza media che ero in ritardo di un anno. Quasi tutti i miei compagni erano problematici a modo loro. Oltre a me, altri due sono stati in carcere. Uno è ancora dentro, al Sud. Dopo poche settimane che ero dentro alla nuova scuola, arrivarono i poliziotti con i cani antidroga. I miei compagni erano con le facce schiacciate contro la finestra a guardarli entrare: non avevano idea di chi fossero. Erano lì per me. Avevo nascosto un pezzo di fumo dentro una gamba del tavolo, nel laboratorio di scienze. Fui fortunato, gli agenti entrarono solo nelle classi e le aule tecniche non le guardarono proprio. A scuola nascondevo un sacco di droga. Era facile all'epoca. Niente telecamere, oggi ormai viviamo come al Grande Fratello. Anche in carcere. Infatti telefoni ne entrano. Social? Tik Tok. Solo Tik Tok. perchè è più sicuro ma soprattutto perchè è il social dove i detenuti possono trovare i loro figli e interagirci. Puoi essere il delinquente più pericoloso al mondo, ma per un uomo il figlio è sempre il figlio».
Andrea ordina il terzo gin tonic. «Avrei potuto essere qualcos’altro. Ero bravo con l’informatica. Primo reato da maggiorenne una truffa su internet. Cinque anni alle Vallette. Sono uscito che la tecnologia era andata avanti e io no. Mi avevano trovato un lavoro. Ma a me quei pochi soldini non bastavano».
E così, ricomincia a spacciare. «Sei mesi ed ero di nuovo dentro. Ma anche alle Vallette ho sempre spacciato. Ero il “tramite” tra marocchini e italiani. Alle Vallette funziona a blocchi, ci sono dei gruppi, chiamale bande se vuoi. Io sono sempre andato d’accordo con tutti e specialmente con i marocchini. Meno male visto che sono la maggioranza, alle Vallette e che giuro, hanno sempre una lama in tasca o in bocca». E sulle rivolte? «Mi sono perso la doppia sommossa per un pelo. Peccato. Comunque la dentro è facile fare casino, gli agenti sono nelle nostre mani. Non possono fare nulla, dopo la storia del processo per torture. Ovvio, i detenuti ci marciano sopra. Chi esce in permesso rientra con 2, 3 etti di roba da fumare. E va dritto in cella, niente perquisizione. E le celle per perquisirle ci vogliono i permessi. Meno male, in carcere la droga comanda».
In che senso? «Inscenavamo risse o a gruppi vietavamo agli agenti di entrare. Basta nulla, mettersi davanti a un cancello e mostrare delle lamette. O tirare le bombolette del gas. Tutta roba che si compra dentro, legalmente, alla fine. Se volessero limitare i danni basterebbe usare piastre e rasoi elettrici. E farci sfogare. Sai, cosa si scorda chi governa le carceri? Che quelli dentro sono uomini come quelli fuori dal carcere. Levare loro la libertà è giusto, ma ovvio ha conseguenze. E la noia è brutta. Sottovalutata. Io lo so bene». Sorride, si alza e va alla cassa.
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