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Cronaca
18 Ottobre 2025 - 12:15
foto di repertorio
È iniziato ad Asti il processo a carico di un uomo di 50 anni, arrestato nel dicembre scorso con le accuse di violenza sessuale aggravata, riduzione in schiavitù, maltrattamenti e produzione di materiale pedopornografico. Secondo quanto emerso dall’inchiesta, coordinata dal procuratore aggiunto Laura Deodato e dal pubblico ministero Manuela Pedrotta della DDA di Torino, l’uomo avrebbe costretto la figlia della propria convivente a subire violenze e abusi per oltre vent’anni, a partire dall’età di cinque anni.
I fatti si sarebbero verificati all’interno di un alloggio popolare di Asti, dove vivevano l’imputato, la compagna e la figlia di lei. La donna lavorava come dipendente di una società di marketing e si occupava del sostentamento economico della famiglia, mentre l’uomo era disoccupato. Gli abusi, secondo quanto riportano gli atti, avvenivano durante le ore di lavoro della madre o mentre dormiva.
La ricostruzione giudiziaria evidenzia un contesto di isolamento e controllo. La vittima sarebbe stata sottoposta a punizioni fisiche, privazioni e minacce per impedirle di raccontare quanto accadeva. L’uomo le avrebbe vietato l’uso del telefono, limitato i contatti con l’esterno e imposto comportamenti umilianti, come pulire i pavimenti in ginocchio o restare chiusa al buio. Le accuse comprendono anche la produzione di materiale video, in cui la ragazza veniva costretta a spogliarsi o a indossare abiti provocatori.
Secondo l’accusa, la condotta dell’uomo si sarebbe estesa nel tempo fino a ridurre la vittima a una condizione di completa dipendenza psicologica. Gli inquirenti ritengono che egli considerasse la ragazza una sorta di “compagna sostitutiva”, con l’intento di stabilire un rapporto di dominio e possesso.
Le violenze sarebbero iniziate anche nei confronti della madre, che per anni avrebbe subito minacce e limitazioni alla propria libertà personale. Solo di recente la donna si è rivolta alle forze dell’ordine, dopo essere stata incoraggiata da un commerciante del quartiere che aveva notato segnali di disagio e comportamenti anomali.
Il processo, ora in corso davanti al tribunale di Asti, punta a ricostruire nel dettaglio gli episodi denunciati e a valutare le prove raccolte, tra cui testimonianze, referti medici e materiale informatico sequestrato. In caso di condanna, l’imputato rischia pene fino a vent’anni di reclusione.
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