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ECONOMIA

Quota 103 non funziona: boom di rinunce alla pensione anticipata

Solo 1.153 uscite in un anno: assegni più bassi, attese più lunghe e nuovi limiti scoraggiano i lavoratori. Ecco cosa sta succedendo

Quota 103 non funziona: boom di rinunce alla pensione anticipata

Quota 103 sembra ormai destinata a uscire di scena. Lo dicono i numeri, impietosi: appena 1.153 le pensioni liquidate nel 2024 con questa formula, secondo un’elaborazione dei rendiconti sociali regionali del Civ dell’Inps. Un risultato ben lontano dalle aspettative, legato in larga parte al nuovo assetto normativo introdotto dal governo, che ha reso la misura meno appetibile.

Cosa è cambiato

Quota 103 permetteva di andare in pensione con almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi. Ma dal 2024 chi sceglie questa via si trova di fronte a un assegno calcolato interamente con il metodo contributivo. Un ricalcolo che, nella maggior parte dei casi, comporta una riduzione dell'importo mensile. A questo si è aggiunta l’estensione delle “finestre mobili”: sette mesi per i lavoratori del settore privato e nove per quelli del pubblico. Di fatto, quindi, le prime pensioni con i nuovi requisiti sono arrivate solo da agosto per i privati e da ottobre per i pubblici.

Nel corso del 2024 le domande presentate per accedere a Quota 103 sono state poco meno di 15mila, incluse quelle inoltrate con i requisiti più favorevoli del 2023. Un dato che mette in luce quanto le modifiche normative abbiano inciso sulle scelte dei lavoratori. A frenare ulteriormente è stato anche il tetto massimo per l’assegno: nel 2024, chi opta per Quota 103 non può ricevere più di quattro volte il trattamento minimo fino all’età di vecchiaia.

A confronto, nel 2023 erano state 23.249 le pensioni anticipate con questa formula. Un calo netto, che si inserisce in una tendenza più ampia: nel primo semestre del 2025 l’Inps ha registrato una riduzione del 17,3% delle pensioni anticipate, scese a 98.356 contro le 118.550 dello stesso periodo dell’anno precedente.

L'alternativa: il bonus Giorgetti

Il quadro potrebbe cambiare nei prossimi mesi con il cosiddetto "bonus Giorgetti", ispirato al vecchio bonus Maroni. La misura consente al lavoratore che sceglie di restare in servizio, pur avendo maturato i requisiti per la pensione anticipata, di ricevere in busta paga i contributi previdenziali a suo carico, esentasse. Dal 2025 il bonus è stato esteso anche a chi raggiunge 42 anni e 10 mesi di contributi, indipendentemente dall’età. Un incentivo che potrebbe spingere molti a rimandare l’uscita dal lavoro.

Cosa succederà nella prossima Manovra

In vista della Legge di Bilancio, l’ipotesi più concreta è che Quota 103 venga accantonata. L’attenzione del governo sembra ora rivolta a rafforzare il canale di uscita riservato a chi è entrato nel mondo del lavoro dopo il 1996, cioè interamente nel sistema contributivo. Questi lavoratori possono accedere alla pensione a 64 anni, con almeno 25 anni di contributi. Dal 2030, però, la soglia salirà a 30 anni. Per poter lasciare il lavoro è necessario che la pensione sia pari ad almeno tre volte l’assegno sociale (circa 1.616 euro mensili nel 2025).

Per le donne il requisito è leggermente più basso: l’importo minimo scende a 2,8 volte l’assegno sociale con un figlio e a 2,6 volte con due o più figli. Fino ai 67 anni, invece, l’assegno massimo non potrà superare cinque volte l’assegno sociale, ovvero circa 2.025 euro mensili.

Un altro punto in discussione è l’uso del Trattamento di fine rapporto. La Lega propone di estendere la possibilità di pensionamento anticipato anche ai lavoratori con contribuzione mista, utilizzando parte del Tfr accantonato nel conto di tesoreria dell’Inps – cioè quello non destinato alla previdenza integrativa – per agevolare il raggiungimento dell'importo minimo richiesto per l'uscita.

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