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Il Borghese
06 Febbraio 2025 - 05:50
Una domanda che magari potrà suonare ingenua: dovevamo tenercelo? Si intende il generale libico Almasri, quello su cui ieri in Parlamento è andato in onda uno psicodramma.
Riepilogando: Almasri era il temuto direttore delle carceri libiche; testimonianze di migranti lì detenuti parlano di torture; contro di lui viene spiccato un ordine di cattura per crimini contro l’umanità. La Digos di Torino, dove il generale si trova per una partita della Juve (davvero?) lo arresta, ma poiché nessuno ha avvisato il ministro Nordio, e le norme non consentono l’arresto di iniziativa da parte della polizia giudiziaria, viene scarcerato e rimpatriato «perché pericoloso».
Non bastasse l’indagine della procura di Roma, partita dall’esposto di un avvocato che fa anche politica, che vede indagato mezzo governo assieme alla Premier, ieri le forze di opposizione si sono scagliate contro il ministro che, per una volta, ha detto una cosa giusta: «Non sono il passacarte dell’Aja». Ossia, la giustizia italiana non deve essere semplice esecutrice di decisioni altrui: nel caso, c’è l’Interpol. O non esiste più?
Ipotizzando, poi, che tutto fosse stato eseguito regolarmente, cosa avremmo dovuto fare del generale? Tenerlo nelle nostre carceri? Mettiamola così: l’unica cosa che avrebbe dovuto invocare il governo è la ragion di Stato. Un po’ come per la scarcerazione, disposta da Nordio, dell’ingegnere americano coinvolto nella vicenda della reporter Cecilia Sala, riportata a casa per fortuna (il pressing del governo fece scarcerare anche Ilaria Salis, prima che venisse eletta, che in Ungheria dovrebbe rispondere di tentato omicidio: giusto per fare memoria a tutti).
C’è però un grande aspetto positivo in tutto questo: una decisione - giusta o sbagliata - del governo è stata “processata” dal Parlamento, con tanto di diretta televisiva. E questa era la sede deputata, ben più del Tribunale.
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