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tiro con l'arco
20 Settembre 2024 - 09:30
La foto di gruppo con la campionessa paralimpica Elisabetta Mijno
Alle Paralimpiadi di Parigi Elisabetta Mijno ha conquistato l’oro che le mancava, nel mixed team dell’arco ricurvo con Stefano Travisani, e il bronzo individuale. Ieri la 38enne nata a Moncalieri e residente a Rivalta, con il compagno di vita e di sport Matteo Bonacina, con cui si allena a Rivoli agli Arcieri delle Alpi, ha ricevuto nell’Aula Magna dell’Ospedale CTO una targa per i suoi meriti sportivi. Sono intervenuti per festeggiarla Giovanni La Valle, Maurizio Marrone, Tiziana Nasi, Umberto Ricardi e Bruno Battiston.
Elisabetta, è stato un evento che ha coinvolto le tue due grandi passioni?
«È stato bello condividere la soddisfazione per i risultati di Parigi con i miei colleghi e anche aver incontrato dirigenti che non conoscevo».
Da quanto lavori al Cto?
«Dopo essermi laureata in Medicina e Chirurgia, mi sono specializzata in Ortopedia. Ho fatto il primo anno a Parma, dove ho vinto il concorso, e sono tornata a Torino, al Cto, nel 2017. Ho terminato la scuola di specialità nel 2021 e sono stata assunta. Mi occupo di chirurgia della mano».
Come si svolge la tua giornata fra ospedale e allenamenti?
«A seconda di quando lavoro, al mattino, al pomeriggio o di notte, mi ritaglio del tempo per andare al campo. In questi ultimi anni mi sono mancati un po’ di più i momenti di riposo e di svago, soprattutto nel fine settimana».
A Parigi nella gara individuale puntavi all’oro?
«Ero consapevole del mio livello, ma anche delle difficoltà delle Paralimpiadi. In semifinale ho ceduto per 6-4 alla cinese Wu, pur avendo ottenuto più punti (134-131, ndr). Non ci ho pensato, perché incalzava la finale per il terzo posto. Ho un bronzo individuale e l’argento precedente risaliva a Londra 2012. Va bene così».
Qual era l’aspettativa nel mixed team?
«Sapevano di avere le qualità per vincere e con Stefano abbiamo disputato una competizione perfetta».
Quanto è importante vivere con qualcuno che comprenda le tue esigenze, perché sono anche le sue?
«Un pezzo delle mie medaglie è merito di Matteo. È bello condividere, però ci sono anche momenti difficili. Prima di partire per Parigi, in casa nostra non c’era bisogno di accendere la luce, perché facevamo scintille per la tensione. Non sempre le esigenze sono le stesse e cerchiamo di comprenderle e rispettarle».
Ci sarà Los Angeles 2028 nel vostro futuro?
«Nel suo penso di sì, essendo un pivello rispetto a me come esperienza arcieristica (e ride, ndr), per me non lo so ancora, anche se la voglia di vincere non mi è passata».
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