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IL COLLEZIONISTA FOLLE
01 Giugno 2025 - 09:11
L'arca di Noé e Fernand Leger
PROLOGO
Immaginate la scena: è un pomeriggio come tanti, quando il telefono squilla e, al suo risveglio dal torpore delle consuete ricerche, il nostro eroe si trova a parlare con un collezionista calabrese. Niente di straordinario, direte, ma lo è. Perché l’uomo, con un tono che non lascia trasparire emozione, gli parla di un dipinto. Non un quadro qualsiasi, intendiamoci, ma un’opera di Fernand Léger, un olio su tavola che ritrae, incredibilmente, la leggendaria Arca di Noè. Un vero e proprio tesoro nascosto, di quelle cose che ti fanno venire il dubbio che forse l’Arca di Noè non è mai stata perduta, ma semplicemente giace in qualche angolo sconosciuto del mondo.
Non chiedetevi come, ma il collezionista calabro lo ha affascinato immediatamente, e sebbene le distanze tra loro siano notevoli, la mente del Collezionista Folle corre già tra le montagne del Monte Ararat, là dove la storia e la fantasia si intrecciano, e il pennello di Léger ha fissato una tensione tra mito e realtà. Come accade a volte, un quadro può essere l’ennesima chiave di lettura per una delle leggende più affascinanti dell’umanità. E se non bastasse, questo pezzo d’arte si trova lontano dalle luci della ribalta, proprio dove meno ce lo saremmo aspettati. Ma si sa, l’arte non ha confini. E chissà, forse questo quadro è solo l’inizio di una scoperta che cambierà tutto.
UNA STORIA “LEGERA”
Mi raccomando: non impressionatevi se per una volta non sono stato io a trovare l’Arca di Noè, ma ho avuto la fortuna di incontrare chi possiede un prezioso dipinto a olio di misure 51x35 cm di un celebre artista del Novecento, Fernand Léger. Quest’opera, realizzata nel 1953, si trova oggi nelle mani di un collezionista privato in Calabria. L’artista celebra il presunto ritrovamento dell’Arca di Noè, probabilmente frutto della sua fascinazione per questo tema ancestrale dopo aver letto qualche pubblicazione dell’epoca che riportava le prime scoperte archeologiche sull’Arca.
Fernand Léger (1881-1955), pioniere del cubismo e maestro dell’arte moderna, era noto per la sua capacità di trasformare temi contemporanei in opere d’arte rivoluzionarie. Nel 1953, anno di realizzazione del dipinto, l’interesse per le scoperte archeologiche era particolarmente vivace, alimentato dalle prime esplorazioni sistematiche del Monte Ararat e dalle crescenti teorie sulla possibile localizzazione dell’Arca biblica.
L’artista, con il suo stile caratteristico fatto di forme geometriche e colori vivaci, sembra aver voluto immortalare non tanto l’oggetto della ricerca quanto l’emozione della scoperta, quella tensione tra mito e realtà che ha sempre affascinato l’umanità.
La ricerca dell’Arca di Noè è un tema che ha attraversato i secoli, ma è nel XX secolo che ha assunto contorni più scientifici, pur rimanendo avvolta nel mistero. Le teorie e i ritrovamenti che potrebbero aver ispirato Léger sono molteplici e affascinanti.
Nel 1948, un giovane pastorello curdo di nome Reshit Sarihan fece una scoperta che avrebbe cambiato per sempre l’approccio alla ricerca dell’Arca. Mentre pascolava le sue greggi sulle pendici del Monte Ararat, notò una formazione geologica di forma insolita, lunga e stretta come uno scafo di nave. Questa formazione, situata vicino al confine tra Turchia e Armenia, presentava caratteristiche che sembravano richiamare le descrizioni bibliche dell’Arca.
La scoperta del pastorello non passò inosservata. Nel 1951, durante una missione di mappatura aerea per conto della NATO, il capitano dell’esercito turco Ilhan Durupinar fotografò dall’alto la stessa anomalia geologica. Le immagini aeree rivelarono una struttura di 164 metri di lunghezza, con una forma che ricordava distintamente quella di un’antica barca.
Gli anni Cinquanta del Novecento segnarono l’inizio di un’era di esplorazioni più sistematiche. La formazione Durupinar, così chiamata dal nome del capitano che l’aveva documentata, divenne oggetto di numerose spedizioni archeologiche. Ricercatori di diverse nazionalità si avventurarono sulle impervie pendici del Monte Ararat, armati di strumenti sempre più sofisticati.
La montagna stessa, con i suoi 5.165 metri di altezza, rappresentava una sfida formidabile. Le condizioni climatiche estreme, i ghiacciai perenni e l’instabilità politica della regione rendevano ogni spedizione un’impresa rischiosa.
Nel 2010, un gruppo internazionale di ricercatori turchi e cinesi annunciò una scoperta sensazionale: resti di legno risalenti a circa 4.800 anni fa, rinvenuti a grande altitudine sul Monte Ararat. L’età dei reperti coincideva sorprendentemente con le datazioni bibliche del diluvio universale. Tuttavia, la comunità scientifica accolse la notizia con scetticismo.
Più recentemente, l’avvento delle tecnologie di scansione 3D ha rivoluzionato l’approccio alla ricerca. Utilizzando radar penetranti e scanner laser ad alta risoluzione, i ricercatori hanno identificato anomalie strutturali nelle montagne turche che potrebbero corrispondere a costruzioni artificiali di dimensioni colossali, compatibili con le descrizioni bibliche dell’Arca.
È fondamentale sottolineare che nessuna di queste scoperte è stata universalmente accettata come prova definitiva dell’esistenza storica dell’Arca di Noè.
La comunità scientifica mantiene un approccio prudente, distinguendo tra fenomeni geologici naturali e possibili evidenze archeologiche. Tuttavia, il fascino di queste ricerche non risiede necessariamente nella loro validità scientifica, quanto piuttosto nella loro capacità di alimentare l’immaginazione e di connettere il presente con le narrazioni più antiche dell’umanità.
Il dipinto di Fernand Léger si inserisce in questo contesto culturale come testimonianza artistica di un’epoca in cui la tecnologia iniziava a offrire nuovi strumenti per esplorare i misteri del passato. L’artista francese, con la sua sensibilità per i temi contemporanei, sembra aver colto l’importanza simbolica di queste ricerche, trasformandole in una riflessione artistica sulla relazione tra mito e realtà.
Oggi quest’opera preziosa arricchisce una collezione privata calabrese, testimoniando come l’arte di grande valore possa trovare dimora anche lontano dai grandi centri artistici internazionali. La presenza di un Léger in Calabria rappresenta un piccolo tesoro culturale che dimostra la capacità dell’arte di viaggiare e di radicarsi in territori che sanno apprezzarne il valore.
L’opera dimostra inoltre la straordinaria erudizione di Léger, che nel dipinto incorpora dettagli e riferimenti che suggeriscono una conoscenza approfondita non solo delle teorie archeologiche dell’epoca, ma anche di elementi linguistici e culturali della regione del Monte Ararat. Alcune fonti riferiscono che l’artista avesse studiato trascrizioni di antiche lingue locali, incorporando simboli e riferimenti che aggiungono profondità storica all’opera.
Questa storia ci ricorda come l’arte e la scienza si intreccino spesso in modi inaspettati. Il dipinto di Léger non è solo un’opera d’arte, ma un documento storico che testimonia l’interesse del suo tempo per una delle ricerche più affascinanti e controverse della storia umana. Per chi volesse approfondire questo avvincente intreccio tra arte, archeologia e mistero, un viaggio potrebbe toccare due mete: i luoghi della ricerca archeologica e la terra calabrese custode di questa testimonianza artistica. Chissà se, nelle pieghe rocciose di quella montagna leggendaria, si nasconda davvero il più grande tesoro archeologico della storia umana, o se il vero tesoro sia invece la capacità dell’umanità di continuare a sognare, cercare e creare arte ispirata dai propri sogni più profondi.
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