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Segreti di Famiglia

Eredità Agnelli, quei milioni per le amanti di Gianni e l'errore fatale di Margherita

Perché l'Avvocato non cambiò mai il suo testamento? Le parole della sorella Cristiana e la donazione a John Elkann

Eredità Agnelli, quei milioni per le amanti dell'Avvocato e l'errore fatale di Margherita

Perché Gianni Agnelli non ha mai cambiato il suo testamento, anche dopo la morte del figlio Edoardo? Come aveva realmente apparecchiato la sua successione? Sono domande che ci si pone seguendo la vicenda dell'Eredità Agnelli, ossia la lotta di Margherita contro i figli John, Lapo e Ginevra Elkann. Una eredità che, sulla carta, è quella di Marella, vedova dell'Avvocato, ma nella realtà rimanda alle volontà e ai beni (anche quelli nascosti) del patriarca. E, nel corso degli anni, assieme a risposte contrastanti (anche giudiziariamente), sono emersi nuovi dubbi. E un possibile, fatale, errore proprio di Margherita. 

Tra i nuovi dubbi ce n'è uno che viene suggerito da un passaggio del documentario "Agnelli", prodotto dall'americana HBO, e di passaggio su SkyArte in questi giorni. Un documentario del 2016 agiografico e corrosivo al tempo stesso sull'Avvocato, con testimonianze di parenti, amici, ex collaboratori. Tra questi, c'è Cristiana Brandolini d'Adda, ossia una delle sorelle di Gianni.

La contessa Brandolini racconta della malattia dell'Avvocato, del declino non solo fisico, della profonda depressione in cui era caduto fin dalla morte del figlio Edoardo. Dice di averlo visto poco tempo prima della sua morte ed era irriconoscibile. "E lui non ha riconosciuto me" dice Cristiana Brandolini nel documentario. Forse non era più in grado di intendere e volere?

Una ipotesi, questa, che mai è stata adombrata neppure nei momenti di più feroce contestazione delle sue volontà (più che altro dei suoi uomini di fiducia) da parte di Margherita Agnelli. Anche se i suoi ultimi momenti vengono raccontati con poche parole. Anche il cardinale Severino Poletto, chiamato a Villa Frescot per l'estrema unzione, comprensibilmente non rivelò mai nulla di parole in punto di morte o di qualche volontà espressa. John Elkann, per parte sua, ha detto una volta che semplicemente "se n'era andato in pace, con accanto sua moglie". E Margherita, oltre a lui. 

Resta comunque il fatto che il suo testamento non è stato modificato neppure con la morte di Edoardo. Tre semplici fogli scritti a mano e firmati. In quello datato 20 aprile 1999 (Edoardo morirà l'anno dopo) c'è la destinazione delle proprietà immobiliari, ossia Villa Frescot, Villar Perosa, l'appartamento romano fronte Quirinale, a Marella e ai figli Margherita ed Edoardo. Il secondo foglio, invece, nominava esecutore testamentario l'avvocato Franzo Grande Stevens. Che però, quella mattina del gennaio 2003, nello studio del notaio Morone, spiegò di non poter assumere il ruolo.

Il terzo foglio è anche quello più datato e risale al 12 dicembre 1983. In questo, Agnelli destina "l'usufrutto vitalizio delle azioni della G.A.P.I. Spa" (il nome che aveva all'epoca l'accomandita di famiglia) a Marella, precisando che "tale prelegato è da intendersi a carico di tutta l'eredità ed è da prelevarsi prima di ogni altra ripartizione". Dunque, le azioni e la Fiat non fanno parte dell'eredità da dividere con la figlia.

Perché nel frattempo l'Avvocato aveva provveduto a donare e destinare le quote della Dicembre, non solo alla moglie ma anche a Margherita e a John. Poi lo statuto della società prevedeva che alla morte di un socio, non ci fosse ereditarietà ma semplicemente le quote dovevano tornare in capo alla società, con diminuzione del capitale sociale. C'è la cosiddetta "lettera di Monaco" del luglio 1996, firmata prima di un serio intervento al cuore, in cui si fa menzione del passaggio di quote di Dicembre a John Elkann. Poi, dopo la morte dell'Avvocato, Marella cede le sue quote al nipote, che ottiene la maggioranza assoluta e il controllo, e anche Margherita viene poi convinta a farlo, nell'ambito del famoso patto successorio con cui si fece liquidare un miliardo e 300 milioni, rinunciando a tutto il resto.

Ed è qui che inizia la seconda parte del mistero, che peraltro porta a scoprire il "fatale errore" di Margherita. A narrare è l'avvocato Emanuele Gamna, il legale che assistette Margherita nella primissima fase, quella dell'accordo con la Famiglia (e i consiglieri Gianluigi Gabetti e Franzo Grande Stevens) per l'eredità. Un incarico che a Gamna costò parecchi guai (e anche una telefonata furiosa di John Elkann...). 

Bisogna dire che, dopo averla assistita, Gamna è stato vittima di Margherita che, in ragione di una parcella da 13 milioni pagata senza fattura (gli disse che era un dono), voleva convincerlo a testimoniare nella causa che stava intentando nel 2007. Da lì è nato un procedimento per estorsione nei confronti della figlia dell'Avvocato ed è stato proprio da quegli atti che si è scoperto del patto successorio e della possibile esistenza di fondi nascosti all'estero.

Perché, racconta Gamna nel libro "M. L'importanza di chiamarsi Agnelli", Margherita non credeva che l'eredità di suo padre fossero gli immobili, delle auto e qualche trattore e le opere d'arte. Lei voleva un inventario completo dei beni, noti e ignoti, del padre. E il calcolo era complicato, anche da una serie di donazioni fatte dall'Avvocato, donazioni calcolate in circa 300 milioni di euro. "Franzo (Grande Stevens, ndr) termina facendomi intendere che le donazioni riguardavano essenzialmente signore e signorine (maitresses è il termine usato) che col defunto avevano avuto affaires amorosi di variabile importanza". Proposta che l'avvocato rigetta al mittente, definendola "indecente" (e peraltro ritenendo improbabili munifiche donazioni a presunte "amiche"), e rimanendo sulla proposta di divisione fra madre e figlia di 600 milioni "di cui eravamo a conoscenza" e del patrimonio artistico.

Alla fine, quindi, la quota di Margherita viene stabilita sulla base di una eredità semplicemente stimata, perché l'esistenza dei conti esteri, delle fiduciarie nei paradisi fiscali arriverà solo in seguito. E della Fiat, alla figlia dell'Avvocato, pare importare poco, anche perché la vede destinata alla bancarotta (nonostante abbia accarezzato l'idea di vedere suo marito, il conte Serge de Pahlen, alla guida come presidente e mentore di John). Poi, però, nel 2007 avviene il ripensamento. E tra le cose che il suo nuovo avvocato vuole proporre c'è una azione di nullità della donazione delle quote di Dicembre a John Elkann, che rimetterebbe in discussione la guida dell'impero. Ma Gamna spiega che già nel 2003 "M. aveva rinunciato a far valere la nullità della donazione". E, annota l'avvocato, "il suo diritto cadde in prescrizione qualche anno più tardi". Eccolo l'errore di Margherita, che pure è tornata ad attaccare la proprietà della Dicembre che, secondo il suo attuale avvocato Dario Trevisan, "è contendibile". 

Ma per quanto affascinante, e contorta, sia questa vicenda, i magistrati di Torino che indagano su John Elkann e i fratelli sembrano concentrati solo sull'emersione del patrimonio estero e sulla truffa della residenza svizzera fittizia di Marella. Dimostrare questo annullerebbe la successione di Marella e molti beni tornerebbero in ballo. Anche una parte della Dicembre, non quella di John che è inattaccabile, ma quelle di Lapo e Ginevra sì. Sempre che ci si arrivi prima della prescrizione (per la quale mancano pochi mesi, ormai). A settembre, alla ripresa piena dell'attività giudiziaria, riprenderà anche la battaglia degli Agnelli-Elkann. E saranno scintille.

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