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La crisi dell'Ex Fiat
12 Settembre 2024 - 17:20
Il venerdì 13 di quella che era la Fiat comincia nel momento in cui i cancelli di Mirafiori non si apriranno per gli operai delle Carrozzerie, ferme per un altro mese (per ora) perché la Fiat 500e, la rivoluzione elettrica di Stellantis, non si vende. Ma la mattinata di domani potrebbe portare ulteriori guai, con la Borsa, dove Stellantis in poco tempo ha già bruciato qualcosa come 43 miliardi. E presto, tra gli Enti Centrali e le sedi operative del Gruppo, qualcuno comincerà a pagare per le scelte strategiche sbagliate (ma spinte da Tavares e John Elkann): il taglio delle teste sta per cominciare?
I calcoli li ha fatti IlSole-24Ore, ricordando che il 18 gennaio 2021, primo giorno di quotazione del neonato gruppo francoitaliano, le azioni salirono a 13,5 euro. Ossia lo stesso livello raggiunto nella giornata di giovedì a Piazza Affari, segnando il minino sulle cinquantadue settimane. Allora, scrive il quotidiano economico, Stellantis capitalizzava 42 miliardi di euro, ma appena a giugno - e appena prima della comunicazione di una disastrosa semestrale - il gruppo guidato da John Elkann segnava i massimi storici in Borsa per una capitalizzazione di 80 miliardi. Mentre, con i valori odierni, diventano 43 quelli bruciati.
La stabilità del Gruppo, con le sue riserve, non è in discussione. Ma la guidance del 10% e i target annunciati da Carlos Tavares sì. Perché, oltre ai danni del mercato, ci sono le conseguenze finanziarie per l'intero settore: Volkswagen che chiude, Bmw che lancia un "profit warning" e taglia le stime al ribasso... Per gli analisti di Morgan Stanley lo farà anche Stellantis.
Eppure, per quanto ci faccia male pensarlo, l'Italia e i guai di Mirafiori non sono il cuore del problema: gli analisti concentrano i guai del Gruppo in America, dove non a caso sono imminenti 2.500 licenziamenti e una rivoluzione di Carlos Tavares nel top management. Solo una settimana fa, per esempio, c’è stato il cambio al vertice di Jeep in Nordamerica con Bob Boderbof e Bill Peffer a occuparsi dell’organizzazione della rete di concessionari - le scorte di veicoli sono uno dei motivi della crisi del Gruppo, con proprio i concessionari americani che attaccano le scelte del board -, mentre prima ancora c’era stata la nomina di Vanessa Repp alla guida del “future product” di Opel, altre seguiranno in un rimpasto (o repulisti) generale.
Conta poco, Mirafiori. Così come i 100 milioni di euro ribaditi dal Gruppo per il piano Mirafiori Automotive Park 2030 sono appena un quarto di quelli per gli stabilimenti in Michigan o di quelli in Argentina.
Ma su quello che succederà in Italia, evoca scenari inquietanti Edi Lazzi, della Fiom: "Mirafiori ha la febbre altissima e l’indotto, di conseguenza, sta morendo. Informalmente gli industriali si lamentano con noi, sarebbe invece utile che anche loro ci mettano la faccia e si espongano sulla questione. Il livello dello scontro si alzerà inevitabilmente con conseguenze imprevedibili".
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