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La guerra per l'Eredità
02 Maggio 2025 - 08:30
Quanti soldi aveva Gianni Agnelli? E dove sono finiti? Nel 2003, alla sua morte, si stimava - una "stima prudente" - che il suo patrimonio ondeggiasse fra 1,044 miliardi e 1,6 miliardi di euro. Ma sui suoi "conti correnti" c'erano solo 6,6 milioni. Ai giovani Jaky e Lapo Elkann, in quel periodo, una persona vicina alla famiglia avrebbe detto che l'eredità sarebbe bastata "a dieci generazioni per mantenere il tenore di vita di Gianni Agnelli". Oggi Jaky, ossia John Elkann, ha un patrimonio personale che supera i 2 miliardi di euro, come avesse raddoppiato il patrimonio del nonno. Sempre che quello fosse il vero patrimonio di Gianni Agnelli.
Bisogna fare una premessa: all'epoca della morte dell'Avvocato, la Fiat capitalizzava poco più di 3 miliardi di euro, mentre oggi Stellantis ne capitalizza 23 (ed è calata vistosamente negli ultimi mesi). Dell'eredità Agnelli, compresi una sessantina di milioni di euro di patrimonio immobiliare (mentre i capolavori d'arte che rappresentano un mistero a parte), bisogna considerare circa 1 miliardo e 200 milioni andati a Margherita Agnelli "pour gain de paix". L'indagine della Procura di Torino sull'eredità ha svelato circa 900 milioni di euro in un trust estero, nella disponibilità di Marella Agnelli. Che, stando ai Panama Papers, aveva un patrimonio attorno ai 3,5 miliardi di dollari. Come anche Margherita (coinvolta peraltro in investimenti in Russia anche dopo le sanzioni contro Putin). Le cifre non quadrano, vero?
Altro dettaglio: John, Lapo e Ginevra Elkann hanno ricevuto da Marella (e qui indaga la procura) le quote della società Dicembre, che consente il controllo della Giovanni Agnelli BV e a cascata di Exor, Stellantis, Ferrari, Juventus e via dicendo. Il valore della Dicembre è stimato attorno ai 4 miliardi di euro. Ma il valore delle quote, nonché dei passaggi/donazioni e degli aumenti di capitale, è "a tavolino". Nel senso che, per la Procura di Torino che indaga sugli Elkann per truffa ai danni dello Stato, non c'è stato passaggio di denaro per l'acquisto. Anzi, 100 milioni circa hanno fatto la strada contraria: dal venditore (Marella) all'acquirente (John).
Parte del mistero dei conti esteri degli Agnelli/Elkann trova ampio spazio nel libro (mai pubblicato) "Les usurpateurs. L’histoire scandaleuse de la succession de Giovanni Agnelli” e l’immagine di copertina è il rilievo architettonico del palazzo di corso Matteotti 26 a Torino, residenza di Famiglia prima del trasferimento a Villa Frescot. C'è una prefazione di Margherita Agnelli, come vi abbiamo raccontato qui, e l'autore è Marc Hürner: titolare della Financial Intelligence & Processing (Fip) di Bruxelles, un’agenzia di investigazioni finanziarie.
La storia inizia nel 1966, quando Gianni Agnelli e il cugino Giovanni Nasi fondano Exor Group - nulla a che vedere con l'attuale Exor, guidata da John Elkann, estranea a quella vicenda - in Lussemburgo come filiale estera della Ifi, la holding finanziaria della dinastia. Negli anni successivi, però, le partecipazioni ufficiali di Ifi e della Giovanni Agnelli & C. S.a.p.az. diminuiscono progressivamente. All’alba del 1998, le due entità italiane controllano appena il 19,74% del capitale. La maggioranza, oltre il 60%, è nelle mani di “azionisti anonimi”, schermati da società fiduciarie.
Secondo la tesi avanzata da Hürner e fatta propria da Margherita Agnelli nella sua battaglia legale contro i figli, dietro questi fiduciarî si celava proprio Gianni Agnelli. Il fondatore di Fiat, dunque, avrebbe ricomprato “sotto mentite spoglie” le quote cedute da altri membri dell’accomandita, lasciando intendere una diluizione del controllo mentre in realtà lo riconcentrava su di sé, fuori dai radar fiscali italiani.
Il 10 novembre 1998, la Giovanni Agnelli & C. S.a.p.az. lancia una Offerta pubblica d’acquisto (Opa) su Exor Group per una cifra monstre: 2.600 miliardi di lire. Due giorni dopo, in Lussemburgo nasce una nuova creatura: la Giovanni Agnelli & C. International, società veicolo incaricata di formalizzare l’offerta su tutte le azioni non detenute dalle strutture italiane. Obiettivo: liquidare gli azionisti anonimi.
Il risultato? Le fiduciarie incassano 1 miliardo e 364 milioni di dollari. Denaro che, sparito nel nulla delle strutture offshore, non tornerà mai più nel bilancio familiare. Exor, intanto, si prepara a versare un maxi-dividendo da 1 miliardo e 527 milioni di dollari, che servirà tra le altre cose a saldare un debito con i Rockefeller, ereditato proprio dalla società assorbita.
Il 30 giugno 1999, con la fusione di Giovanni Agnelli & C. International in Exor, il cerchio si chiude. L’operazione è completata: gli “anonimi” sono usciti, l’accomandita è tornata in controllo (84,79%) e le imposte italiane sono state (forse) abilmente aggirate.
Questo complesso intreccio finanziario, che porterebbe la firma di Gianluigi Gabetti, uomo di fiducia dell'Avvocato, è stata al centro della guerra ereditaria più esplosiva della storia imprenditoriale italiana. Margherita Agnelli, sostiene che i fiduciari che controllavano Exor nel 1998 rappresentassero in realtà il padre. Secondo la sua denuncia, quegli asset non sarebbero mai emersi nel testamento, né nella successione patrimoniale.
La tesi è semplice ma esplosiva: il declino azionario delle entità italiane era solo una mossa di facciata, utile a costruire un assetto finanziario parallelo in cui Gianni Agnelli, attraverso fiduciari, accumulava una fortuna offshore. Una fortuna che, al momento della morte dell’Avvocato nel 2003, sarebbe stata “dimenticata”.
Ma ben tre diversi giudici, va ricordato, hanno asserito la regolarità fiscale delle operazioni, respingendo gli attacchi e le tesi di Margherita.
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