C’è un numero che pesa come un macigno e racconta più di molte parole: 573.970. È il conto, nudo e crudo, delle persone in Piemonte classificate “a rischio povertà”. Su un totale della popolazione di circa 4 milioni e 251mila persone. Significa circa una persona su otto a rischio povertà. Più di mezzo milione di esistenze sospese, famiglie che fanno i conti con la paura della quarta settimana, lavoratori che sentono il terreno cedere sotto i piedi quando le spese finiscono per correre più del reddito. Ma cosa dicono davvero questi numeri? E come si colloca la regione nel quadro più ampio del Nord Italia e del Belpaese?
IL QUADRO DEI DATI: UN NORD PIÙ FRAGILE DEL PREVISTO
L’ultimo rapporto di Eurosat ha messo in fila le regioni italiane, confrontando “rischio di povertà” ed esclusione sociale. Il Piemonte si colloca al terzo posto tra le regioni del Nord per popolazione a rischio, dietro soltanto alla Lombardia e alla Liguria, in una contraddizione solo apparente con il fatto che queste tre regioni rappresentano motori economici e industriali. L’indice regionale è pari al 13,5%, a fronte del 13,8% della Liguria e del 14,1% della Lombardia.
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In altre parole, il Nord produttivo e dinamico non è impermeabile alla vulnerabilità economica: il dato piemontese lo dimostra con chiarezza, inserendosi in una geografia della fragilità che attraversa anche le aree tradizionalmente più forti del Paese. Il riferimento alle 573.970 persone a rischio non è un dettaglio statistico: significa che una fetta significativa della popolazione regionale rimane esposta a un deterioramento delle condizioni di vita, o vive già in una situazione di precarietà materiale e sociale. Il rapporto di Eurosat, incrociando i principali indicatori, disegna una cartina del rischio che non fa sconti a nessuna regione del Belpaese e che, nel caso del Piemonte, invita a leggere il dato con uno sguardo bifocale.
IL DOPPIO VOLTO DEL PIEMONTE: MIGLIORAMENTO E FRAGILITÀ Sembrerebbero notizie decisamente allarmanti. E lo sono, per chi misura l’andamento economico con il metro della coesione sociale. Eppure, come spesso accade,
c’è anche un risvolto positivo. Il confronto con l’indagine precedente, realizzata nel 2021, segnala per il Piemonte un miglioramento di rilievo:
l’indice dei piemontesi in condizioni economiche precarie era allora pari al 17,7%. Oggi è al 13,5%. È un passo in avanti che non va sminuito. Significa che, rispetto a quattro anni fa, meno persone si collocano nella fascia di vulnerabilità fotografata da Eurosat. Ma basta abbassare la guardia? La risposta è no. Resta “comunque ancora troppo elevato il numero dei piemontesi che faticano ad arrivare alla quarta settimana”. Questa immagine, che molti conoscono bene, restituisce la realtà di bilanci familiari in equilibrio precario, dove
imprevisti e rincari possono trasformarsi in un’onda che travolge.
LETTURA CRITICA DEL DATO: COSA MISURA DAVVERO L’INDICE Un aspetto metodologico aiuta a interpretare il quadro:
l’indice di “rischio di povertà” non coincide con la povertà assoluta. È un indicatore composito che intercetta chi si trova vicino alla soglia di vulnerabilità economica e allo spettro dell’
esclusione sociale. In sostanza, misura la probabilità che il reddito e le condizioni di vita non garantiscano standard adeguati e stabili. Per questo un miglioramento dell’indicatore, come quello osservato in Piemonte rispetto al 2021, è rilevante, ma non elimina la necessità di politiche strutturali e di monitoraggi continui.
IL CONFRONTO CON LIGURIA E LOMBARDIA: OLTRE I LUOGHI COMUNI Il fatto che la Liguria presenti un indice del 13,8% e la Lombardia del 14,1% mostra che il rischio di povertà non è appannaggio delle aree tradizionalmente considerate più deboli.
Il Nord resta traino produttivo del Belpaese, ma la tenuta sociale non è garantita per definizione. Struttura demografica, qualità dell’occupazione, concentrazione settoriale e differenze di costo della vita possono fare la differenza da territorio a territorio. Il Piemonte, in questo contesto, si trova in una posizione intermedia: non la più favorevole, ma con un trend di riduzione del rischio che merita attenzione.
LE POSSIBILI CAUSE: QUANDO IL CARRELLO PESA PIÙ DELLO SCONTRINO Perché tante persone faticano a “fare il mese”? Le ragioni, come spesso accade, non sono mai una sola.
Il costo della vita è cresciuto in modo diseguale tra beni e servizi essenziali; la qualità del lavoro – non solo il suo numero – incide sulla stabilità del reddito; la capacità di accedere a servizi (sanitari, educativi, abitativi) può alleggerire o appesantire i bilanci familiari. Anche le transizioni in corso in vari settori produttivi spingono a ripensare competenze e percorsi occupazionali, con periodi in cui chi è “a cavallo” tra vecchi e nuovi lavori rischia di scivolare nella vulnerabilità. Come una coperta troppo corta, la combinazione tra spese ricorrenti e redditi stagnanti costringe molte famiglie a scelte di rinuncia: manutenzioni rimandate, consumi compressi, risparmi erosi. È qui che il rischio di povertà – fotografato dall’indice del 13,5% – smette di essere astrazione e diventa vissuto quotidiano.
COSA FARE: DAL SOLLIEVO IMMEDIATO ALLE RIFORME DI STRUTTURA Se il dato è il punto di partenza, la domanda successiva è naturale: quali leve azionare? Alcuni principi possono orientare l’azione pubblica e sociale: - mirare gli interventi alle famiglie più esposte, con strumenti che sostengano il reddito e riducano le spese incomprimibili; -
rafforzare la qualità del lavoro, puntando su stabilità, formazione e percorsi di riqualificazione coerenti con l’evoluzione dei settori; - intervenire sui servizi: casa, trasporti, sanità territoriale, educazione. Ogni euro risparmiato su questi capitoli è un euro che rende più solido il bilancio familiare; - monitorare con continuità gli indicatori di rischio, per calibrare le politiche in tempo reale invece che a consuntivo; -
promuovere reti locali tra istituzioni, terzo settore e imprese, perché la prossimità fa spesso la differenza nel raggiungere chi resta ai margini.
IL RITMO DEL MIGLIORAMENTO CONTA, MA NON BASTA Il calo dall’indice del 17,7% del 2021 al 13,5% attuale dice che qualcosa si è mosso nella direzione giusta. Ma il rischio è accontentarsi della tendenza, mentre la base assoluta – 573.970 persone – continua a raccontare
un’ampiezza del fenomeno che non può essere normalizzata. In termini economici, potremmo dire che l’elasticità del benessere rispetto alla crescita non è ancora sufficiente: anche quando l’onda positiva arriva, non raggiunge tutti con la stessa forza.
COSA OSSERVARE NEI PROSSIMI MESI Tre fronti meritano un’attenzione particolare: - dinamica dei prezzi e dei redditi:
il rapporto tra costo della vita e potere d’acquisto è la leva che, più di altre, sposta la soglia del rischio di povertà; - qualità dell’occupazione: non solo il tasso di posti creati, ma la loro stabilità e la coerenza con le competenze richieste; - efficacia degli interventi mirati: la rapidità nel far arrivare risorse a chi è in difficoltà e la capacità di ridurre “buchi” nei servizi. Il Piemonte, terzo nel Nord per popolazione a rischio dietro Lombardia e Liguria secondo l’ultimo rapporto di Eurosat, ha dimostrato di poter migliorare rispetto al 2021. La sfida ora è dare continuità a questo percorso e
accorciare la distanza tra statistiche e vita reale, perché ogni punto percentuale in meno non sia solo un grafico più bello, ma un mese meno faticoso per chi oggi combatte per arrivare alla quarta settimana.