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Il caso
16 Novembre 2025 - 07:00
È uno dei tanti servizi di subappalto (in tutta Italia se ne stimano circa 1.200), quello di Eco green srl, società di smaltimento macerie e rifiuti industriali per la Italiana Costruzioni Infrastrutture Spa (Ici), che nei giorni scorsi, dopo mesi di crisi, ha chiesto al Tribunale di Roma un accordo per scongiurare la liquidazione. Scenario che metterebbe a repentaglio i lavori di prolungamento della linea metropolitana 1, in direzione Cascine Vica (Rivoli), con conseguenti ritardi per chi ne attende, trepidante, il termine già dal 2024.
«Sono circa sei mesi che non mettiamo più piede nei cantieri. Gli scavi, ora, saranno pieni di rifiuti pericolosi non smaltiti», spiega Roberto Aldisi, direttore tecnico di Eco green. Il motivo è presto detto: «Ici ha smesso di pagarci da più di un anno, e Infra.To ci ha solo illuso», continua Aldisi.
Tutto ha inizio un anno e mezzo fa, quando Ici, stando a quanto dichiarato dall’azienda, smette di pagare per i servizi forniti. «Dopo qualche mese Infra.To (la società del Comune di Torino che gestisce le infrastrutture cittadine e, in questo caso, responsabile unico di progetto, ndr) ci chiama per una riunione e manifesta l’intenzione di fare la sua parte per non bloccare i cantieri. Cioè dà dei soldi ad Ici. Di cui però non vedremo neanche un centesimo», afferma Aldisi. «Il risultato della riunione - rincara - è stato pessimo, quasi un inganno, che ha portato a fare crescere il nostro credito nei confronti dell’azienda». Oggi, infatti, Eco green sarebbe arrivata a maturare tra i 120mila e i 140mila euro di servizi non pagati, per un’azienda da circa 60 dipendenti. «Per fortuna siamo riusciti a tutelarli, ma con le dovute criticità - ammette Aldisi - Abbiamo dovuto chiedere un finanziamento tra soci per sopperire alle perdite derivanti dai mancati pagamenti di Ici».
Insomma, hanno dovuto vedersela da sé. Eppure la situazione di crisi dell’azienda era nota almeno da un anno. Lo ha ammesso lo stesso ad di Infra.To Bernardino Chiaia. D’altro canto, difficile ammettere il contrario, dal momento che già un anno fa Ici aveva perso l’appalto per il progetto Metromare di Rimini, e che una situazione simile a quella che vivono oggi i cantieri della metropolitana torinese, colpisce quelli dell’Aurelia bis a Savona. Con l’avvio, nei mesi scorsi, della procedura di ricomposizione del debito, e la revoca anche di questo secondo appalto.
Nel Torinese, così, si attende con ansia la pronuncia del giudice il prossimo 16 dicembre su un eventuale piano di risanamento dell’azienda. Nel frattempo, spiega il legale di Eco Green, da normale procedura, «abbiamo chiesto il pignoramento verso terzi, in questo caso Infra.To».
Il rischio è anche il crollo dell’indotto dei fornitori, tra cui artigiani (anche se ancora non sono quantificati). Con un effetto a cascata sulle industrie: «Sono nostri clienti. Sarebbe un disastro: lo stesso film visto con le Olimpiadi», continua Aldisi.
Il presidente di Confartigianato Torino, Dino De Santis, dalla sua, conferma che da lunedì partirà una ricognizione tra i consociati per verificare quali sono e con che impatto, le aziende coinvolte. «Faremo la nostra parte nel supportarle», assicura.
A dare a questa storia, dai risvolti ancora molto incerti, il retrogusto della beffa, c’è un’antefatto. La gara d’appalto per l’aggiudicazione del prolungamento ovest Cascine Vica - Lotto Fermi - Collegno centro e una serie di ricorsi legali ad essa legati.
Nel 2018, la prima azienda vincitrice dell’appalto: Ati Amec srl, era stata esclusa dal bando per mancanza di alcuni requisiti. In primo luogo, l’assenza di un patrimonio netto positivo, in secondo luogo anomalia dell’offerta. La graduatoria, così, scorre, finendo ad Rti Astaldi, seconda classificata, la quale, però, aveva presentato domanda di concordato preventivo “in bianco”, ovvero senza presentare un piano di risanamento dei conti. Motivo che ne determina l’esclusione dal bando. È a questo punto che Italiana Costruzioni Infrastrutture, la successiva in coda per l’aggiudicazione del maxi appalto, sarebbe entrata effettivamente in gioco. Anche se, nell’attesa delle ufficializzazioni del caso, l’apertura dei cantieri slitta dalla fine del 2018 ad almeno un anno dopo: dicembre 2019.
Oggi l’epilogo potrebbe essere lo stesso: un’azienda che fallisce, e se anche non fallisce, lascia dietro di sé una scia di ritardi e mancati pagamenti ancora tutti da quantificare.
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