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Economia & Territorio

Banca di Asti, nel Risiko adesso irrompe Unicredit. Ecco tutti gli scenari

Orcel sfida Castagna (BPM) e Maramotti (Credem): Fondazioni e Mef orientano il destino della banca piemontese

asti, il triello del credito: unicredit, bpm e credem si contendono la maggioranza di cra sti

Chi l'avrebbe detto che una banca passata attraverso qualche tribolazione - più mediatica che altro - e ispezioni di Bankitalia potesse diventare una pedina fondamentale sulla mappa di un Risiko bancario di provincia. Dopo i movimenti di Credem, a sfidare BPM, ora pare muoversi Unicredit. Una partita che si annuncia interessante per Banca di Asti, divenuta oggetto del desiderio. 

Il nuovo fronte piemontese
A riferire di questo "duello", oggi 17 novembre 2025, è la testata Lo Spiffero: una sfida fra Andrea Orcel, ad di Unicredit, e Giuseppe Castagna di BPM. Un confronto iniziato ben prima della fallita Offerta pubblica di scambio (Ops) su Banco Bpm. L’istituto di piazza Gae Aulenti avrebbe presentato un’offerta per la maggioranza della banca astigiana, entrando in rotta di collisione con Banco Bpm e Credem. In apparenza, le tre proposte si equivalgono: scambio carta contro carta, valutazioni economiche allineate, nessuno scarto clamoroso nelle metriche. Ma il diavolo è nei dettagli: i tempi di esecuzione sarebbero più lunghi per Credem, potenziale handicap in un contesto in cui la rapidità può valere quanto un punto di spread.



Le offerte: carta contro carta, ma il tempo pesa
Se i numeri si somigliano, la scelta dell’azionista di controllo – la Fondazione CrAsti, presieduta da Livio Negro – non sarà aritmetica. La banca astigiana non è un asset qualunque: si chiede al futuro partner di valorizzarla, non di risucchiarla in un conglomerato indistinto; di preservare sportelli e occupazione; di garantire dividendi stabili, ossigeno per i territori. È la partita delle “considerazioni strategiche”, spesso invisibili nei prospetti, ma decisive nei consigli di amministrazione.

Il ruolo decisivo delle Fondazioni
Accanto a CrAsti (31,8%), contano le quote di Biella (12,91%), Vercelli (4,2%) e, soprattutto, della Fondazione Crt (6%), con quest'ultima che appare decisamente azionista importante. E si dice che a Torino, in via XX Settembre, si vedrebbe bene una operazione di questo genere: meglio l'istituto "fratello" che il forestiero Credem o BPM. In controluce emerge la domanda chiave: chi saprà promettere dividendi consistenti e continuità territoriale senza relegare la banca a periferia del proprio perimetro?

I contendenti: vantaggi, rischi e incastri industriali
Banco Bpm parte con un piede nella porta: detiene il 9,9% di CrAsti. L’integrazione sarebbe scorrevole, con sovrapposizioni territoriali limitate. Piazza Meda, inoltre, guarda a un mosaico più ampio: Banco Desio e la Popolare di Puglia e Basilicata – realtà che collocano i prodotti di Anima, partecipata al 90% dal Banco – compongono uno scenario di rafforzamento nel Nord-Ovest e nel retail, cuore storico dell’ex popolare milanese. Tuttavia, Castagna è chiamato a fronteggiare anche la pressione, silenziosa ma costante, dei francesi di Crédit Agricole.

Per Unicredit il vantaggio è la scala: dividendi da record, un utile netto di 6,1 miliardi nel primo semestre 2025, la promessa di un catalogo completo di prodotti e servizi in grado di far crescere i ricavi commissionali di CrAsti. Le sovrapposizioni di sportelli? Un ostacolo gestibile, dicono dal fronte milanese. Sullo sfondo, il cambio di stagione al vertice operativo astigiano: l’amministratore delegato Carlo Demartini sarebbe arrivato al termine del suo mandato, variabile che rende più agevoli eventuali ridisegni organizzativi.

Credem, controllata dalla famiglia Maramotti attraverso Credito Emiliano Holding (79,8%), scommette sull’assenza di sovrapposizioni geografiche – quindi niente obblighi di cessione sportelli – e su sinergie interne nelle fabbriche di servizi. È musica per le fondazioni, perché libera risorse per il territorio. Ma i tempi diluiti rischiano di costare consenso.

CrAsti oggi: numeri solidi e nodi regolatori OGGI: NUMERI SOLIDI E NODI REGOLATORI
Banca di Asti presenta fondamenta robuste: CET1 ratio al 17,6%. Il rendimento sul capitale, però, nei primi sei mesi dell’anno si ferma al 6,62%, tra i più bassi del comparto. Situazione che ha sempre preoccupato i piccoli azionisti, che negli ultimi tempi sono sembrati scettici sulla resa dell'indice Vorcel cui l'istituto di Piazza Libertà ad Asti. Per colmare il gap, il management ha varato iniziative mirate: incorporare unità produttive specializzate per spingere i proventi da commissioni; espandersi in Liguria – ultima apertura a Sanremo – e valutare l’acquisto di punti operativi sul mercato, cavalcando la stagione delle fusioni.

Il quadro è complicato da un dossier regolatorio sensibile: l’ispezione della Banca d’Italia ha evidenziato carenze documentali e applicazioni scorrette o eccedenti delle commissioni. CrAsti ha accantonato 6 milioni e ha avviato rimborsi ai clienti. Per importi minimi si valuta l’accorpamento in erogazioni liberali a favore di organizzazioni di utilità sociale. Un gesto che unisce compliance e responsabilità, ma anche un promemoria: l’integrazione con un partner più grande potrebbe accelerare il rafforzamento dei controlli interni.

Politica, Mef e vincoli Acri
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze spinge per una soluzione: la Fondazione CrAsti ha oltre l’80% del patrimonio e il 75% delle risorse concentrate sulla banca e deve scendere sotto i limiti fissati dal protocollo Acri–Mef (e relativo Addendum): 44% per gli enti maggiori, 39% per i minori. Tre anni per diversificare, ha ricordato il presidente Livio Negro, in armonia con lo statuto e con i bisogni del territorio. Intanto il sindaco di Asti, Maurizio Rasero, chiede che Comune e Provincia siano coinvolti nel destino della banca di casa. L’advisor Equita, come vi avevamo spiegato qui, è chiamato a cucire una soluzione che tenga insieme tutte le istanze: stabilità, dividendi, occupazione, identità territoriale. 

L’idea (resistente) di un polo bancario piemontese
Lo Spiffero ricorda quando, tempo fa, si era evocata la creazione di un polo regionale, non il “vecchio” istituto sportellizzato, ma una piattaforma in sinergia tra partecipazioni detenute dalle fondazioni. Oltre a CrAsti, Crt, Biella e Vercelli, si fa il nome della Fondazione CrCuneo guidata da Mauro Gola; altre minori potrebbero seguire. Piano già naufragato, dicono alcuni; fermo in rada, in attesa di venti favorevoli, ribattono altri. È un’ipotesi che seduce chi vuole massa critica senza perdere il presidio locale. Che è la forza stessa di Banca di Asti, con quasi 30mila piccoli azionisti e investitori sul territorio. E, in uno scenario in cui i grandi istituti chiudono le filiali, razionalizzano, la funzione di presidio territoriale meglio si accorderebbe con una mission di retail.



L’onda lunga della fallita OPS Unicredit-BPM
La contesa astigiana non si capisce senza tornare al 25 novembre 2024, quando Orcel cala un’Ops da oltre 10 miliardi su Banco Bpm, presentata come mossa industriale per rafforzare il sistema nazionale e frenare Crédit Agricole. Castagna respinge in due giorni l’offerta, definendola “inadeguata” e poco dialogata. Il 18 aprile 2025 il governo esercita il golden power – prima volta tra banche italiane – imponendo condizioni pesanti: uscita dalla Russia in 9 mesi, mantenimento degli impieghi per 5 anni, vincoli su Anima. Consob congela due volte l’offerta; il Tar annulla due prescrizioni ma conferma proprio quelle decisive su Russia e Anima. Anche dopo la contestazione formale della Commissione europea all’uso del golden power, il quadro resta ingestibile: Unicredit ritira l’Ops. Castagna esce rafforzato, Orcel incassa e riposiziona. È in questo contesto che il dossier Asti diventa, per entrambi, più di un’operazione locale: è un messaggio.

Gli scenari sul tavolo
- Vittoria Unicredit: dimensione, dividendi e “filiera” di prodotti promettono di alzare la redditività di CrAsti. Rischio: perdita di centralità locale e gestione sensibile delle sovrapposizioni di rete.

- Ascesa Banco Bpm: l’azionariato al 9,9% facilita percorso e governance; limitate sovrapposizioni, sinergie commerciali con Anima. Rischio: la concomitanza di altri dossier (Desio, Popolare di Puglia e Basilicata) e la pressione di Crédit Agricole.

- Piano Credem: nessuna sovrapposizione, efficienze operative e gradualità potrebbero preservare il territorio. Rischio: tempi lunghi e minore appeal per chi cerca ritorni più rapidi.

- Polo fondazionale: suggestione federale, utile a preservare identità e dividendi. Ma servono coordinamento e una cabina di regia forte: chi la guida?

Nel frattempo, CrAsti resta una banca “che fa gola”: capitale abbondante, presenza radicata, potenziale non pienamente espresso nei ritorni. È il tassello giusto per rifinire un posizionamento nel Nord-Ovest o la scintilla per riprendere una partita più grande, sospesa tra Milano e Torino?

Che cosa è davvero in gioco per Asti
Ma ad Asti cosa si pensa? Abbiamo chiesto un commento alla Banca, rimanendo in attesa di una risposta. Questa non è solo un’operazione di M&A. C'è in gioco un territorio che chiede prossimità e investimenti. Chi saprà promettere, e mantenere, un patto di medio periodo con il Piemonte? In una stagione in cui il risiko bancario sembra ricominciare ogni lunedì, Asti potrebbe diventare il banco di prova di un nuovo compromesso tra scala e prossimità. O il preludio a un’altra resa dei conti tra Orcel e Castagna, con Credem pronto a inserirsi tra i due litiganti.

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