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L'INTERVISTA DELLA SETTIMANA

«Modello Pittsburgh per Torino, università e ospedali al centro»

Parla Giovanni Durbiano, professore di composizione architettonica e urbana del Politecnico di Torino

«Modello Pittsburgh per Torino, università e ospedali al centro»

«Bisogna progettare di più. Il  Pnrr ha potuto finanziare solo le opere di cui esisteva già un progetto mentre Torino dovrebbe diventare una città capace di progettare, ne possiede le competenze e così facendo potrebbe diventare un grande laboratorio di interesse politico e sociale». Inizia con un augurio l’intervista a Giovanni Durbiano, professore di composizione architettonica e urbana del Politecnico di Torino.
Il tema è il progressivo depauperamento del nostro tessuto produttivo e commerciale: da Mirafiori che si svuota ai negozi di vicinato sostituiti da abitazioni, alle  edicole e i distributori di carburante che scompaiono. La città perde sempre più abitanti ogni anno che passa ed è sempre meno attrattiva.

Torino sta cambiando, secondo lei quale verso dovrebbe prendere?
«E’ vero, la città sta perdendo alcuni suoi pezzi fondamentali, ma si sta trasformando continuamente e il tema non è come difendersi dal cambiamento, ma come promuoverlo in una direzione condivisa. Io credo che per attrarre lavoratori e investitori, sia necessario puntare maggiormente sullo sviluppo dei nostri atenei e scommette sul nuovo Parco della salute. Proprio come negli anni Novanta ha fatto la città di Pittsburgh che da “steel city” è diventata una capitale dell’innovazione e della ricerca, medica in particolare».



Come applicherebbe questo modello a Torino?
«Sarebbe necessario favorire un accordo strategico tra l’amministrazione e le università. Oggi Università e Politecnico sono gli attori che generano più cambiamento a livello cittadino. Basti pensare i benefici che hanno avuto i nostri quartieri dove sono sorti gli atenei».

La città di Pittsburgh in Pennsylvania



Prima parlava anche degli ospedali come motore di sviluppo, lei ha predisposto le linee guida della del Parco della Salute, a che punto siamo?
«Dopo un’attesa di 15 anni forse qualcosa sta succedendo, ad aprile scopriranno le carte i due operatori privati coinvolti nella procedura di attuazione e ci diranno a che gioco giocheranno. Certo siamo in un periodo di elezione e ogni promessa può essere colta con sospetto, ma progetto è troppo importante perché possa essere strumentalizzato dalla politica. Il Parco della salute non è un progetto né di destra né di sinistra: è un progetto necessario».

Lei sta lavorando anche al grande progetto di riqualificazione del parco del Valentino. Ce ne parla?
«E’ certamente  il progetto più significativo di Torino sul breve termine, con la nuova Biblioteca Civica, il nuovo Politecnico, il Parco, la riqualificazione fluviale  e il Borgo Medioevale. I cantieri stanno partendo. Quello del Borgo Medioevale a cui lavoro durerà poco più di un anno. La sede della scuola di architettura, dove insegno, andrà nel bellissimo Padiglione Nervi a Torino Esposizioni. Vogliamo riproporre il modello nordico di università aperta alla città mettendo a disposizione le nostre competenze per discutere e risolvere insieme i problemi della trasformazione urbana».

Un render del futuro Borgo Medioevale al Valentino


Con il Pnrr dovrebbero partire tanti altri cantieri. Non è contento?
«Non molto perché nelle linee di finanziamento si sono considerati gli interventi puntualmente senza definire una strategia che mettesse a rete le singole occasioni. Restano comunque aperte partite delicate come Palazzo del Lavoro e l’ex Manifattura Tabacchi».

Cosa pensa invece dell’Ecobonus?
«Penso che dopo il boom degli ultimi due anni i cantieri si sono di nuovo ridotti a prima del 2019. Ricordo con piacere il periodo del 2005-2006 quando in città c’erano tanti cantieri che hanno trasformato il volto di Torino».



Mettendo da parte la nostalgia della Torino olimpica, come immagina la città tra 15 anni?
«Nello scenario peggiore Torino potrebbe scendere demograficamente lasciando ad altre città, a Cuneo per esempio, lo status di capoluogo regionale. Nello scenario migliore Torino potrebbe diventare un polo di scambio europeo su alcuni temi specifici, ma soprattutto potrebbe diventare, su modello nordico, “super diversa”, una città in cui la diversità di genere, di classe, formazione e di provenienza diventano una risorsa, una città in cui nascono start up innovative».

A proposito di innovazione, il ministro Urso ha annunciato l’arrivo a Torino del centro nazionale per l’intelligenza artificiale. Cosa ne pensa?
«Penso che sia un’ottima cosa. In generale sono favorevole all’intelligenza artificiale. Nella scuola di architettura del Politecnico stiamo lavorando a un progetto sull’applicazione dell’intelligenza artificiale sulle pratiche professionali».



Restando in tema di pratiche, pensa che il Piano regolatore generale per Torino, annunciato dal Comune, possa essere utile allo sviluppo futuro della città?
«Credo che ormai il Piano regolatore sia uno strumento in buona parte superato.
Io dal 2008 sto lavorando al Prg  di Pino Torinese, un piccolo comune della collina, e non l’abbiamo ancora finito. Immagino che a Torino i tempi saranno lunghissimi. Credo che servano altri strumenti più agili e più facili da modificare: preferirei ad esempio che il piano non si impuntasse a indicare cosa si deve fare in una certa area ma si limitasse a dire cosa non si può fare».

E’ favorevole al concetto di città verticale?
«Non credo che oggi a Torino ci siano le condizioni per costruire in altezza.
Cinque anni fa, quando avevo realizzato le linee guida del Parco della Salute, avevo previsto che l’ospedale potesse espandersi in altezza, sia per ragioni funzionali sia per stemperare il carattere “fallocentrico” dell’attuale torre della Regione, ma l’assessore all’Urbanistica di allora, Guido Montanari, si era opposto con tutte le forze».



Quale grattacielo preferisce? Quello dell’Intesa Sanpaolo di Renzo Piano o quello della Regione di Massimiliano Fuksas?
«Quello di Renzo Piano, ma nessuno dei due mi entusiasma».

In che zona di Torino comprerebbe una casa?
«In zona Borgo Rossini, lungo la Dora. Credo che il Campus abbia contribuito enormemente a valorizzare quella parte di città».

Qual è invece la zona che ha bisogno di una riqualificazione?
«La zona nord che è abitata per maggioranza da immigrati che non hanno luoghi in cui identificarsi anche simbolicamente».

Con gli immigrati si compensa lo spopolamento cittadino, ma i giovani vanno a lavorare all’estero. Cosa si può fare per trattenerli qui?
«È vero che si cerca lavoro anche fuori, ma è anche vero che Torino oggi è innanzitutto una città universitaria, come ho già ribadito credo che si debba puntare sempre più su questo punto. A Torino inoltre la vita costa poco, molto meno di Milano. Cosa fare per trattenere i giovani qui? Io credo che   dovrebbero definire nuovi movimenti e formazioni politiche in cui i giovani possano identificare le loro battaglie, com’è avvenuto per il clima, con i Fridays for future».

Quindi è giusto alimentare il dibattito sulla crisi climatica?
 «Se il problema viene ignorato non basterà Torino 2030. La città sarà ancora più disabitata, ci saranno meno studenti, i prezzi sì saranno più bassi ma solo chi non potrà permettersi di andare altrove verrà qui. Se Torino si sviluppa come laboratorio politico e sociale, diventa un luogo interessante e attrattore».

Cosa si aspetta da questa amministrazione e da quella futura?
«Mi aspetto che assuma una visione di medio-lungo periodo. Purtroppo le amministrazioni degli ultimi anni sono state un po’ miopi».

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