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L'editoriale

Purtroppo è solo un sogno, ma ora il nuovo Papa saprà cosa deve fare

Visioni di una notte: il Papa resuscita e porta la pace nel mondo

Purtroppo è solo un sogno, ma ora il nuovo Papa saprà cosa deve fare

Se... telefonando...

Stanotte ho fatto un sogno. Nella navata di San Pietro, il Papa, approfittando della pausa del passaggio dei fedeli che vanno a rendergli omaggio, mentre il poco personale presente era intento dalle pulizie, è resuscitato e tolta la mitria e i paramenti, è uscito non visto da una porta secondaria. È passato di lato al grande ovale di Piazza San Pietro, confondendosi fra la folla, certo di non essere riconosciuto. Giunto vicino al lungotevere, vicino al tunnel “dei cavalleggeri”, ha fermato un taxi e si è fatto portare all’aeroporto di Fiumicino. Qui, si è messo a sedere su una panchina davanti ai desk del terminal 3. Accanto a lui, una giovane mamma con un bimbo dai capelli rossi. Il bambino lo osserva con attenzione e poco dopo, avvicinandosi con discrezione gli chiede…«ma tu sei il Papa?». Francesco, gli accarezza la testa e sussurrando gli dice, «si, ma non lo dire a nessuno, segreto». Il bimbo lo guarda e gli porge una bottiglietta d’acqua, in silenzio. Il Papa ne bene un po’ e il piccolo gli domanda…«dove vai ora?». «A Mosca». «E cosa vai a fare a Mosca?» «Devo parlare con una persona». Il bambino lo osserva ancora. «Ma non hai nessuna valigia?». «No, non ne ho bisogno», gli fa il Papa. «E questa persona di Mosca è un amico tuo?». «Si, è da tanto che non lo vedo e volevo andare a salutarlo». «Bello! Anche io ho tanti amici a scuola» e passa a nominarne diversi, fino a Vladimiro. «Anche il mio amico di Mosca si chiama cosi», gli dice il Papa. «Si, ma il “mio” Vladimiro è dispettoso… il tuo com’è?». «È un uomo come tanti». «E cosa gli vai a dire?». «Che la deve fare finita».

«In che senso?», «che è ora che faccia il bravo ragazzo e che la smetta con certi comportamenti». Il bimbo ci pensa su un po’ e poi esclama: «Ma non gli potevi telefonare se hai da dirgli solo questo?». «Non è la stessa cosa, ho bisogno di guardarlo negli occhi», «ma lo puoi fare anche con una video chiamata, anche la mamma parla cosi con papà quando è lontano per lavoro». «Non è la stessa cosa». Chiamano il volo del bambino, la mamma immersa fino a quel momento nella lettura di una rivista, prende su un trolley, afferra la mano del piccolo e lo tira a se incamminandosi verso il gate. Il papa resta solo, seduto sulla panchina. Arriva una comitiva di suore. Il papa prende un quotidiano dimenticato da qualcuno sulla seduta e lo apre davanti a se fingendo di leggerlo. Una delle suore gli siede accanto. Il Papa non ha un buon profumo, la suora si scansa un po’ e prende un rosario dalla sua tracolla. Inizia a recitarlo. Il Papa continua a leggere. Legge tutto, legge i commenti, legge le cose che dicono di lui. Sia quelle dette da gente che gli voleva bene sia quelle da gente che gliene voleva un po’ meno. La suora ad un certo punto, si gira verso di lui, afferra il giornale tenuto aperto a nasconderne il volto e gli dice «Santità, ma che ci fa qui?». Lui sentendosi smascherato gli fa un gesto portandosi l’indice sul naso, come a chiedere riservatezza. Ma resta calmo, e con tutta la dolcezza del mondo le dice «devo finire il mio lavoro». La suora apre il suo borsellino, estrae qualche banconota e gliela pone in mano. Lui fa per ritrarsi, ma poi accetta. Si alza e con il suo solito passo un po’ claudicante si dirige alla biglietteria. «Mosca, solo andata, economy class». «Niente bagaglio? Nemmeno a mano?», gli chiede la hostess senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, fissando sul monitor del suo pc. Il Papa si imbarca.

Prende posto accanto al finestrino. Il volo parte in orario, non è molto affollato, ci sono molti posti liberi. Arriva a Mosca. Chiede ad un taxi di portarlo al Cremlino. Attende in portineria un bel po’ dopo di che si alza e incurante del servizio di sicurezza, passa attraverso i tornelli e si incammina verso gli uffici che ospitano il Presidente russo. Supera agevolmente tutti i filtri, arriva davanti ad una grande porta di mogano e senza bussare entra nella stanza dove un incredulo Putin lo osserva incedere verso la sua scrivania. Rimane inebetito. Il Papa, si accomoda in una grande poltrona riservata agli ospiti, tira un gran respiro e gli dice: «Allora? Presidente? Stupito di vedermi qui?». Putin deglutisce inquieto, non sa cosa dire. Pensa sia un sogno. Pensa sia l’effetto di una qualche sostanza che in modo subdolo ha finito col bere. Lo guarda, impietrito. Senza dire una parola. Il Papa vedendolo cosi lo tranquillizza, «sono venuto senza intenzioni cattive, stia tranquillo». Per poi riprendere: «Vede, difronte alle sue malefatte la prospettiva dell’Inferno a questo punto appare inevitabile. Tuttavia…» e fa una pausa ad arte, «tuttavia il Signore al quale lei sostiene di credere, come mi ha detto il mio amico Cyrill, ha una bontà infinita e concede a tutti, ma proprio tutti sa? Di potersi redimere e di salvarsi». «Cosa dovrei fare?». «Faccia tacere le armi, riporti alle loro case i ragazzi e gli uomini che stanno morendo per questa stupida guerra» «Non posso», balbetta Putin ingoiando il nulla, in palese difficoltà. «Certo che può… guardi quanto è facile, è un telefono quello?», chiede con aria divertita il Papa, «si certo». «Bene, componga il numero del suo comandante in campo e gli ordini di cessare immediatamente le ostilità, vede quanto è facile?». Putin lo osserva, osserva quest’uomo dato per morto dai giornali e dalla stampa di tutto il mondo, quel morto che è stato immortalato da tutte le tv fermo, irrigidito, composto in una semplice bara di legno al centro di una grande chiesa. Riflette, in silenzio.

Dopo di che, afferra il telefono, compone un numero che deve conoscere a memoria e come fosse sotto dettatura impone l’ordine di ritirare le truppe e di terminare tutta l’operazione speciale. Poi riabbassa la cornetta, si gira verso la poltrona dove fino a pochi secondi prima c’era seduto il Papa, ma è vuota. Il Papa nel frattempo è di nuovo in taxi, di nuovo diretto all’aeroporto. Stavolta chiede un biglietto per Tel Aviv. Anche qui dichiara di non aver bagaglio a mano, chiede un posto in economy e al momento opportuno prende posto, sempre vicino al finestrino. Giunge a Tel Aviv. Chiede ad un tassista di essere portato alla Knesset. Arriva ai piedi del palazzo e dopo aver chiesto inutilmente di conferire con Bibi Nethanyau, si alza e supera senza particolari patemi lo sbarramento di sicurezza intorno al Premier israeliano. Arriva innanzi alla porta del suo ufficio e apre senza bussare. Il Premier lo guarda sbigottito. Con un’occhiata che non ammette repliche ordina ai suoi collaboratori di lasciarli da soli. C’è un’atmosfera di gelo, pesante. «Allora?» rompe il ghiaccio il Papa… «Santità io non volevo, sono stati i miei consiglieri a suggerire di ritirare le condoglianze». «Non me ne frega un cazzo di quelle, Bibi..». Nethanyau lo guarda ancora più spaesato, incapace di capire cosa sta succedendo. «Devi chiamare Hamas adesso, qui, in questo momento». «Non posso», «ah ah?», gli dice il Papa con un’occhiataccia delle sue. Bibi afferra il telefono, compone un numero e bofonchia balbettando qualcosa all’interlocutore. Riaggancia e guarda il Papa. Dopo qualche minuto che sembra interminabile, in una coltre di silenzio spettrale, suona. Il Papa prende direttamente la cornetta, si fa passare dall’addetto il responsabile di Hamas e poi pigia il tasto viva voce. «La dovete fare finita oggi stesso!». «Tu devi ridargli gli ostaggi subito, senza condizioni e tu, rivolto a Bibi, la pianti di tenere i tuoi uomini a Gaza».

«Dovete indire un referendum tutti e due, per riconoscervi a vicenda e la dovete finire qui, basta adesso, non voglio più sentire uno sparo, un lamento, nulla!». Il tono di voce è quello di chi non ammette repliche. Entrambi vanno ancora avanti per un po’ giusto per definire i dettagli. Quando la conversazione termina il Papa è sparito nuovamente. È in volo, direzione San Pietro. Qualche ora di aereo, schiaccia un sonnellino con la testa poggiata sul finestrino, ed è di nuovo a Roma. Torna a Santa Marta, si cambia, indossa i suoi abiti da cerimonia e si affaccia sulla piazza gremita dai fedeli accorsi a rendere omaggio al suo feretro. Di colpo cala il silenzio. Tutti con il naso all’insù, ammutoliti. Qualcuno bisbiglia, ma è lui? Cosa succede? Poi, inizia a serpeggiare una parola. Una parola che da sola può spiegare tutto: miracolo! La parola cresce, passa di bocca in bocca, e si allarga, fa il giro della piazza e poi ancora su fra la coda di persone che si intravede fino al lungotevere. In breve diventa un mantra. Un mantra recitato che sa di festa, di gioia, di liberazione. Un coro cosi potente che si può ascoltare a chilometri di distanza. «Il Papa è resuscitato», subito le tv, le radio, interrompono i loro programmi per dare la notizia, i giornali di tutto il mondo escono in edizione straordinaria riportando la notizia: Miracolo! Il Papa si gira dalla finestra verso l’interno della sua stanza. Rivolto ad un collaboratore, come se gli stesse chiedendo dello zucchero per il caffè, gli dice «Visto? C’è voluta la mia morte per riportare un po’ di pace nel mon do». Poi, mi  sono  svegliato.

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