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IL COLLEZIONISTA FOLLE
27 Luglio 2025 - 09:09
In grande la piramide del Louvre: in alto il ritratto di Leonardo da Vinci, in basso una sua opera
PROLOGO
Sarà che la pazienza è la virtù degli ossessionati, ma stavolta il nostro Collezionista Folle può finalmente sventolare il suo trionfale “ve l’avevo detto!”. E non contro avversari qualunque: parliamo del Louvre, mica della bocciofila di Settimo. Proprio il museo parigino, in punta di scalpello e microscopio, annuncia con rullo di tamburi di aver trovato una firma – sì, una firma vera – sotto una gamba disegnata da Leonardo da Vinci. E chi, se non lui, l’aveva già fiutata tempo fa in un autoritratto giovanile del Maestro? Ma si sa: quando sei il matto che cerca firme nei quadri capovolti, ti prendono per burlone. Ora, però, l’eco arriva fino a Treviso, dove esperti e segugi dell’arte iniziano a guardarlo con occhi meno sospettosi. Forse perché anche i “folli” a volte ci vedono meglio. Con la consueta caparbietà, tra rebus impossibili e pigmenti radioattivi, il nostro instancabile cercatore di Leonardo è pronto a prendersi una bella rivincita. Altro che fake news: qui si fa la storia, a colpi di blu notte e mandibole parlanti.
SCORNATI GLI
STUDIOSI DEL
GENIO TOSCANO
Caccia grossa fortunata per la firma che il Museo del Louvre ha comunicato di aver trovato sotto una gamba disegnata da Leonardo da Vinci.
“Ma non ha mai firmato in vita sua e non ha mai fatto dei rebus!” giunge forte come un tuono la voce del prof. Martin Kemp della Università di Oxford, massimo esperto per aver passato “50 anni con Leonardo, tra lucidità e follie intorno alla vita di un genio”, questo il titolo del suo recente testo edito da Rizzoli. Ora tutto il mondo ne parla, se ne discute nei convegni come sui social.
Chi può dare un’altra prova d’aver trovato un’altra firma del noto genio burlesco di Vinci, si faccia avanti con serietà perché di “fake” ne abbiamo ricevute abbastanza. Ne riceviamo anche sottobanco, scherzi se non di invidiosi e accidiosi, magari a ragione, sicuramente di buontemponi ma questi invece a torto. Come infatti si possa prendere sottogamba la questione se Leonardo avesse veramente voluto essere tra i primi a firmare un’opera d’arte col proprio nome anziché con un punzone o con la sua sigla J L = Jo Leo, mettendo in chiaro di essere Leone di Nardò, in Puglia, e di essersi trasferito a Vinci da ragazzino trascinatovi recalcitrante, tirato per un orecchio, dal Notaio suo padre di ritorno a Vinci in Toscana, è incredibile.
Fu a Nardò che suo padre conobbe sua madre Caterina, originaria della Circassia, una regione storica della parte occidentale del Caucaso, un’area montuosa al confine tra Asia ed Europa. Caterina era una schiava che il padre Notaio rivendette per acquistare il loro piccolo figlio Leo e portarlo a Vinci con sé dopo averne notato lo sguardo geniale fin dalle fasce e la curiosità innata che aveva nell’inventare trappole per le lucertole alle quali ancor vive sezionava la coda per ammirarne la duplicazione. E con ragione notò che crescendo, Leo di Nardò poi registrato a Vinci come Leonardo, trascorreva il tempo a sperimentare gli effetti che certe pietre provocavano ai vegetali d’identico colore: la carota arancione con l’ambra, il pisello con la giada, il cavolo con la pietra bianca di torrente. La forza della terra, ancora non si conosceva la frequenza emanata da ogni singola pietra, avrebbe potenziato il valore nutritivo del fresco vegetale e di ciò ne fu tanto convinto che il Brunelleschi fu persuaso ad avviare, socio con Leonardo, una taverna sul ponte Vecchio di Firenze, iniziativa che non ebbe fortuna se non per i dentisti. Ma tornando alla firma del Louvre, la eco si sentì venire dalla bella Treviso dove ai giorni nostri esercita il mestiere di cercatore di firme, anziché di tartufi, un certo Signor Buso, personaggio di rilievo, dotato di una attrezzatura moderna, con una meticolosa acuità visiva in grado di leggere un disegno di Leonardo rivoltandolo come un calzino. A suo merito diverse scoperte apparentemente invisibili e pure una firma di Leonardo ed altre firme di altri pittori veneziani e romani, a prova che la febbre della firma nascosta ebbe a contagiare le Signorie del tempo. Il brontolio temporalesco crebbe in tutta la penisola, fin da Torino oggi s’odono le trombe ad annunciare il ritrovamento di un’altra firma, per ora illeggibile a prima vista su un autoritratto giovanile di Leonardo. Ma è accertabile l’esatta collocazione sulla mandibola e gola di un autoritratto di Leonardo in cui, come a voler esclamare “à ta gole!”, in un piccolo particolare da capovolgere, si nota una mano che indica l’esatto posto di una firma colorata di blu notte. Io la scoprii all’alba, dopo una notte insonne come quelle che trascorreva Nostradamus di passaggio a Torino, e subito lo comunicai al Signor Buso perché ne comprovasse l’esistenza, avanzando l’ipotesi che il colore blu fosse dato da un rarissimo materiale vulcanico, la Demortierite Cristall, con proprietà radioattive. A prova di ciò l’autoritratto di Leonardo in cui si dipinse con la testa di colore blu irraggiante d’interno. La contaminazione della scatola cranica avrebbe a sua volta contaminato le tuboline sinaptiche nella materia celebrale di Leonardo, aumentando la frequenza delle onde celebrali e rendendone ancor più efficiente il trattamento delle informazioni, la forza del pensiero, la potenza di calcolo, l’intuizione preveggente, l’immaginazione oltre ogni confine, in ultima analisi mettendo “un tigre nel motore”.
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