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Banche & Politica
23 Luglio 2024 - 07:20
È un Regio Decreto del 1942 che fa finire Fabrizio Palenzona, l’ex presidente della Fondazione Crt, nel registro degli indagati: “corruzione fra privati”. Questo il capo d’accusa di quello che nel frattempo è diventato l’articolo 2635 del Codice Civile. Ma perché quello che, parole sue, è l’uomo che ha smascherato il patto occulto nelle stanze della Fondazione, si ritrova nei guai?
La ragione sta nell’esposto che lui stesso ha presentato in Procura assieme a quello dell'ex segretario generale Varese: nel ricostruire tutta la storia del patto occulto, ne avrebbero fatto venire fuori un altro. Ossia quello fra Palenzona stesso e il consigliere Corrado Bonadeo.
Per capire, bisogna fare un passo indietro. E cominciare da queste righe: «Le Parti si impegnano e obbligano reciprocamente a tenere confidenziale e riservato il contenuto della presente Scrittura Privata per tutta la durata della stessa. Si intendono riservati e confidenziali anche i contenuti delle riunioni periodiche effettuate».
Questo è il testo della scrittura privata che Corrado Bonadeo, all’epoca membro del Consiglio di Indirizzo della Fondazione, aveva fatto circolare fra i colleghi e quelli del Cda: tredici persone in tutto da convincere a entrare in una sorta di “consiglio ombra” per decidere le imminenti nomine dell’ente di via XX Settembre. Uno dei tredici, come vuole la tradizione, però non ci sta e spiega tutto a Palenzona.
Il quale si trova di fronte a un guaio: nelle stanze di via XX Settembre, e anche fuori, Bonadeo è considerato un suo fedelissimo. Quindi, non si può tollerare il tradimento, né lasciare che il governo ombra possa nascere. Ma non bisogna neppure creare uno scandalo dalle possibili catastrofiche conseguenze, come dimostreranno ampiamente i fatti successivi.
Allora Palenzona, ed è questa anche la ricostruzione dei fatti della Guardia di Finanza, lo invita alle dimissioni per ragioni personali. In cambio, gli garantisce un posto in Banca d’Asti, dove da lì a qualche settimana andranno avanzate delle nomine. Il 14 aprile, Bonadeo si dimette.
«Trovo incredibile la cosa - spiega Palenzona a proposito dell’avviso di garanzia -. Ricordo che sono stato io, una volta venuto a conoscenza del patto occulto, a informare l’autorità di garanzia». Ossia il ministero delle Finanze.
Solo che, nel frattempo, il tutto era diventato di pubblico dominio. E lo psicodramma della Fondazione aveva toccato l’apice la sera del cda, in cui una parte dei possibili “congiurati”, guidati da Caterina Bima, notaio, invoca le dimissioni del segretario generale Andrea Varese, proprio per l’irrituale segnalazione al ministero.
Varese lascia, da lì a poco lo fa anche Palenzona, durante un’altra notte nera del Cda, nella quale i consiglieri si autonominano nelle varie partecipate della Fondazione (da cui ora si sono dimessi come atto volto a evitare il commissariamento).
E così Palenzona invia un esposto in Procura, sulla fuga di notizie e sul patto occulto. Stessa cosa fa Andrea Varese. Il banchiere di Alessandria ricostruisce tutto, evidentemente troppo bene: per i magistrati, lo strumento usato per far dimettere Bonadeo costituisce una violazione di quel decreto. E così l’ex presidente si unisce ai consiglieri (o ex) d’indirizzo e di amministrazione indagati per il patto occulto. Che ora da sette sono diventati dieci: tra i nuovi avvisi di garanzia spicca quello proprio a Caterina Bima, moglie tra l'altro di Michele Vietti, presidente di Finpiemonte.
E mentre la Fondazione pare aver schivato la pallottola del commissariamento con una serie di prescrizioni del ministero alla nuova presidente Anna Maria Poggi, bisogna ancora ricordare che la Procura, fra gli elementi su cui ha almeno acceso un “faro”, ha anche gli investimenti contestati dai “congiurati”, tra cui quello da 20 milioni su una azienda vinicola sperimentale in provincia di Alessandria. Investimento congelato dal nuovo corso. Infine, ironia nell’ironia, Bonadeo poi in Banca d’Asti non c’è entrato.
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